Dazi, dogane, barriere: la pericolosa nostalgia di un passato impossibile

E adesso, dopo l’avvio definitivo della Brexit, cosa succederà al confine tra l’extracomunitaria Nord Irlanda e il resto dell’isola? Si metteranno delle barriere? Le dogane e i doganieri? Si costruiranno muri lungo il confine? E chi lo farà: la Gran Bretagna o l’Unione Europea? O tutte e due? Già così emerge il lato ridicolo del volere ricostruire muri dopo che si sono abbattuti. Eppure la tentazione pare sempre più forte, al punto di sfidare la logica. E la storia.

Dazi, dogane, barriere: la pericolosa nostalgia di un passato impossibile

E adesso, dopo l’avvio definitivo della Brexit, cosa succederà al confine tra l’extracomunitaria Nord Irlanda e il resto dell’isola?
Si metteranno delle barriere? Le dogane e i doganieri? Si costruiranno muri lungo il confine? E chi lo farà: la Gran Bretagna o l’Unione Europea? O tutte e due?

Già così emerge il lato ridicolo del volere ricostruire muri dopo che si sono abbattuti.
Il ritorno al Medioevo nell’epoca dei viaggi aerei low cost e di internet che ti connette in tempo reale con tutto il mondo, suona come la costruzione di un edificio con i mattoncini Lego: falso. Figuriamoci se trasferiamo il concetto alla libera – o non più libera – circolazione delle merci. Quali muri, quali dogane riusciranno a recintare un gigantesco movimento che in questi anni ha sfondato qualsiasi barriera?
Facciamo un esempio semplicissimo: di che nazionalità è un’auto (in questo caso dell’“italiana” Fca) costruita in Turchia con componenti provenienti da una cinquantina di paesi del mondo, e marchiata da un’azienda che ha sede legale in Olanda (Ue) e fiscale in Gran Bretagna (extra-Ue)? Ci vorrebbe una squadra di dotti-medici-sapienti per dirimere solo questa singola matassa.
Esercizio puramente inutile, comunque, se si pensa all’e-commerce e a un colosso come Amazon. Quale frontiera, quale doganiere valuterà i milioni di beni che ogni giorno gli esseri umani si scambiano con transazioni via internet? E siamo solo all’inizio della storia…
Insomma, ci vuole già oggi una bella dose di finzione per credere fino in fondo al concetto di “made in”, nonostante noi italiani lo cavalchiamo con grande lena. Può valere per alcune produzioni agricole, se le consideriamo frutto di un territorio (ma le banane guatelmateche della Chiquita sono made in Guatemala o un prodotto di multinazionale straniera?). Ma basta che la situazione si complichi un pochino – vedi l’italianissima pasta, fatta con le ottime farine canadesi o ucraine – per farci capire che il mondo è molto più in là delle chiacchiere da bar che in questi tempi stanno prendendo forma di atti politici.

Questo non vuole essere un elogio della globalizzazione imperante senza se e senza ma; semplicemente, una presa d’atto di una situazione ormai estremamente complessa e non più districabile in quanto facilmente aggirabile. E la storia ci ricorda che la costruzione di muri non ha mai fermato nulla, come ben sanno i francesi con la loro spettacolare Linea Maginot.

Quando nel 1930 gli Stati Uniti, in piena crisi economico-finanziaria (Wall Street, il 1929…) introdussero una serie di dazi sulle merci importate, ebbero come tutta risposta una contro-serie di dazi delle altre potenze economiche del mondo.
In pochi mesi fu crisi ovunque: la Germania finì nelle mani di Hitler; l’Italia scivolò nell’autarchia e un po’ tutti nel bieco nazionalismo che portò, solo 9 anni più tardi, alla guerra mondiale.
Quindi certe logiche non sono né giuste, né sbagliate. Semplicemente, non funzionano.

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