Diritti sociali a rischio, Sudamerica in piazza

Il clima politico e sociale si è fatto rovente in America Latina. Dal Venezuela al Cile, passando per il Brasile, crescono le proteste violente. Alla ribalta soprattutto la situazione venezuelana, dove le ultime manifestazioni da aprile alla prima settimana di maggio hanno lasciato sul campo 37 morti.

Diritti sociali a rischio, Sudamerica in piazza

Il clima politico e sociale si è fatto rovente in America Latina.
Dal Venezuela al Cile, passando per il Brasile, crescono le proteste violente. Alla ribalta soprattutto la situazione venezuelana, dove le ultime manifestazioni da aprile alla prima settimana di maggio hanno lasciato sul campo 37 morti.

Venezuela

Il dito è puntato contro il governo del presidente Nicolàs Maduro, il cui consenso è in caduta libera. Non solo gli oppositori politici, ma sempre più strati della popolazione e molti osservatori stranieri (tra cui l’Onu) criticano apertamente l’autoritarismo del successore di Hugo Chavez. E a loro si sono aggiunti di recente persino rappresentanti delle istituzioni nazionali.

Alla base c’è un malessere molto radicato a livello economico e sociale che si protrae dalla sua elezione nell’aprile 2013, un mese dopo la morte di Chavez.
Prima il debito pubblico alle stelle, già preoccupante durante il mandato del predecessore, che ha portato molti creditori internazionali a bussare alle porte di Caracas e a sospendere i servizi. Poi il prezzo del petrolio, che da solo costituisce più di tre quarti delle esportazioni venezuelane, sceso ai minimi storici nel 2015. Quindi l’inflazione, che è schizzata negli ultimi mesi al 730 per cento, con il conseguente aumento dei prezzi di beni di prima necessità e la loro riduzione numerica nella distribuzione.
Senza dimenticare la disoccupazione, sempre collegata agli altri fattori macroeconomici, che nel primo trimestre dell’anno precedente riguardava oltre il 20 per cento della popolazione. Il che per tante famiglie si è tradotto nel ritorno alla povertà assoluta, tanto da mettere in dubbio lo stesso modello “chavista” ammirato da alcuni ambienti culturali esteri per i suoi risultati sociali.

Non stupisce, d’altra parte, che il malcontento si sia manifestato anche in una domanda crescente di sicurezza, perché il disagio ha portato a un incremento impressionante degli omicidi e dei saccheggi, all’ordine del giorno tra il 2013 e il 2014. E che dire della voglia di giustizia, per la sempre più preoccupante corruzione nel settore pubblico? A questa istanza Maduro ha preferito replicare con un’ulteriore riforma della costituzione del paese, con l’istituzione di una “Asamblea constituyente nacional”. Senza convocare i partiti politici, ma giustificandola proprio per questo come un’apertura alla gente.

Un ulteriore passo verso una dittatura dal pugno di ferro, accusano invece i suoi avversari e la stampa indipendente, così come gli intellettuali e gli ambienti universitari.
Del resto è sempre più numerosa la partecipazione studentesca alle manifestazioni di piazza, tra cariche delle forze speciali e attacchi di gruppi di motociclisti paramilitari. Chissà se nelle prossime settimane il presidente tornerà sui propri passi e si avvierà un percorso di riappacificazione sociale.

Brasile

Spostandosi a sud, neppure il gigante brasiliano sta passando un periodo esaltante. Le riforme del presidente in carica Michel Temer, che ha preso il posto dell’alleato sotto processo Dilma Roussef, stanno agitando le piazze delle principali città.
Nell’occhio del ciclone ci sono i tagli alle pensioni e la riduzione dei diritti del lavoro, inclusi nella bozza di riforma.
I sindacati che sono in prima linea nella manifestazioni hanno peraltro incassato l’appoggio della chiesa locale e persino di alcuni alleati di Temer. Purtroppo neanche nelle città brasiliane sono mancati tafferugli e scontri con le forze dell’ordine, tra strade bloccate e incendi, seppur senza arrivare agli eccessi del Venezuela.

Cile

Il medesimo tema delle pensioni infiamma il Cile, anche se in questo caso è la gente comune a chiedere il ritocco del sistema pensionistico, che dalla dittatura di Pinochet si basa sui fondi privati Afp.
Per molti cileni significa percepire una pensione mensile inferiore al reddito minimo, da un terzo a metà di chi per esempio ha lavorato nelle forze armate e nella polizia militare.
A riguardo la presidente Michelle Bachelet aveva promesso l’anno scorso un intervento drastico per eliminare le disparità di trattamento. Finora l’impegno non si è concretizzato e così due milioni di persone sono scese in piazza, lo scorso marzo, per chiedere con forza il cambiamento. In mezzo alla folla c’erano tanti studenti degli istituti superiori, che da anni vorrebbero cambiare l’ordinamento scolastico.

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