Elezioni Usa. Arriva il Supermartedì

Il primo marzo si terranno le primarie per le elezioni presidenziali Usa in ben 14 stati (e altri tre territori). Il quadro, in vista del voto del prossimo 8 novembre che incoronerà il 45° inquilino della Casa Bianca, sarà dunque più chiaro. Certo, dopo il trionfo nel Nevada, la corsa di Donald Trump – che non smette di polemizzare con papa Francesco – si sta trasformando in una marcia trionfale

Elezioni Usa. Arriva il Supermartedì

«Nel Nevada vincerà Marco Rubio», sosteneva convinto il sito americano Huffington post a dicembre. E invece no. A trionfare in campo repubblicano, ancora una volta, è stato Donald Trump, il magnate immobiliare con residenza a Manhattan che ha sbaragliato la concorrenza in tre casi su quattro caucus (assemblee elettorali). Marco Rubio, senatore della Florida, e Ted Cruz, con percentuali vicine al 23-24 per cento, appaiono in grado di lottare esclusivamente per un secondo posto a distanza siderale dal 44 per cento di “The Donald”, che dunque si impone anche nel Far West, dopo aver vinto a Est (New Hampshire) e a Sud (South Carolina).

Quella del candidato gaffeur senza peli sulla lingua adesso ha tutta l’aria di poter diventare una marcia trionfale verso Cleveland, dove il partito dell’elefante decreterà in via ufficiale il proprio candidato alle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre.

La polemica con il papa

Di fronte alla platea gremita dei suoi fan (perché di questo più che di elettori si tratta), martedì scorso a Las Vegas, Trump ha messo in scena il solito show. «Gli darei un pugno in faccia», è stato l’esordio “soft” rivolto a un contestatore prelevato dalla sicurezza. Quindi ha puntato il dito contro i network presenti, le cui telecamere inquadrerebbero solo lui per non mostrare la folla in delirio. Ma il multimilionario non ha perso occasione nemmeno per tornare sulla querelle con papa Francesco, che nel viaggio di rientro dal Messico aveva detto che chi intende costruire muri di sbarramento (come Trump ha annunciato più volte di voler fare a sud degli Usa) non è cristiano. «Cosa volete che faccia con lui? – ha sospirato Trump – Il Vaticano però ha un muro solido: è il mio modello».

La prima vittima illustre del fenomeno Trump c’è già stata e corrisponde niente meno che al nome di Jeb Bush, l’ultimo rampollo della dinastia che ha governato il paese per 16 anni. I risultati scadenti (solo quarto in South Carolina) e la scelta di chiudere i “rubinetti” da parte dei suoi finanziatori hanno spinto l’ex governatore della Florida, quasi in lacrime, a gettare la spugna. E ora il suo endorsement potrà influire sul resto della campagna elettorale.

Hillary prende fiato

Nel campo democratico la vittoria, sempre in Nevada, seppur di soli sei punti percentuali, su Bernie Sanders regala a Hillary Clinton una boccata di ossigeno e rilancia la sua corsa alla candidatura. Ma il senatore del Vermont non molla e ricorda che all’inizio della campagna elettorale il distacco era di 50 punti percentuali, «ora siamo al testa a testa».

Aspettando il Supermartedì

Avremo dunque un duello Trump-Clinton per la Casa bianca? Molto si capirà mercoledì prossimo, quando avremo i risultati del Supermartedì fissato per il 1° marzo. Svoltosi per la prima volta nel 1988, il Supertuesday è nato per limitare l’“effetto Iowa”: il piccolo stato che tradizionalmente organizza per primo le primarie genera un’influenza sensibile sui voti a seguire. Con 14 stati alle urne in 12 ore, il 1° marzo rappresenta quindi un giro di boa determinante per la campagna elettorale di tutti i candidati. Quest’anno in particolare sono molti gli stati del Sud a parteciparvi e in molti di questi il numero di grandi elettori in palio (chiamati a decidere la nomination a luglio) è importante. Da tenere d’occhio soprattutto Alabama, Arkansas, Colorado, Georgia, Massachussets, Minnesota, Texas e Virginia. In realtà, in più di un caso nella storia elettorale americana anche dopo questo appuntamento centrale il quadro è rimasto confuso. Nel 2008, l’anno che vide l’elezione di Barack Obama, il Supermartedì si concluse con un pareggio con la Clinton. Nel 2012, tra i democratici ad imporsi fu proprio il presidente, mentre in campo repubblicano la sfida tra Romney e Santorum rimase in stallo. La strada verso luglio, quando entrambi i partiti eleggeranno definitivamente il proprio candidato (il 21 i repubblicani, il 28 i democratici) è insomma ancora lunga. 

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