Elezioni in Turchia, la libertà di stampa sempre più minacciata

L'irruzione di trenta poliziotti nella sede del gruppo editoriale  Ipek Koza è solo l'ultimo di una serie di indagini, violenze e atti intimidatori nei confronti dei giornalisti e delle televisioni che non si sono schierate dalla parte del regime di Erdogan. Negli ultimi tre mesi, in vista delle elezioni del 1° novembre, 101 siti web, 40 account sui social media e 87 url (uniform research locator) sono stati bloccati dall’Autorità delle telecomunicazioni. E la repressione riguarda anche gli artisti.

Elezioni in Turchia, la libertà di stampa sempre più minacciata

«Libertà è la libertà dell’uomo che la pensa diversamente» diceva Rosa Luxemburg, citata poi dal giudice costituzionale turco Hasim Kılıç nella sua opinione contraria allo scioglimento dell’AKP  (Adalet ve Kalkınma Partisi), attuale partito al governo, nel 2008: la chiusura fu chiesta dal pubblico ministero Abdurrahman Yalçınkaya considerando che il partito fosse un centro di attività contro il secolarismo e la laicità del paese.

Chissà se avrebbe scomodato le parole della Luxemburg a sette anni di distanza, quando la Turchia si ritrova al 149° posto su 180 paesi considerati dal World Press Freedom Index del 2015 di Reporters Without Borders (RSF). La pressione sui giornalisti che operano in Turchia è considerevolmente aumentata tra le elezioni parlamentari dello scorso 7 giugno e le prossime elezioni del primo novembre, sfociando in un episodio senza precedenti in Turchia dopo il colpo di stato militare del 1980.

Nella giornata del 28 Ottobre, trenta poliziotti in borghese sono entrati nella sede del gruppo editoriale Ipek Koza Holding, oscurando le trasmissioni  in atto manualmente dalla centrale di trasmissione. L’irruzione dei poliziotti è avvenuta nel corso di una protesta di fronte alle sedi di Kanaltürk TV e Bugün Daily a Istanbul. I manifestanti protestavano contro la decisione delle autorità turche di imporre un’amministrazione straordinaria a 22 compagnie possedute dal gruppo editorialetra cui Kanaltürk TV e Bugün Daily, nominando altrettanti amministratori straordinari vicini al governo. «Un attacco ad una fortezza di stampo medioevale», lo ha definito Human Rights Watch, riferendosi all’irruzione della polizia che ha portato a scontri fisici con i giornalisti che cercavano di fermare l’interruzione delle trasmissioni e all’arresto del giornalista Kamil Maman. L’amministratore straordinario della sede di Mecidiyeköy a Istanbul, ha detto agli impiegati: «Non siete militanti: continueremo a fare un buon lavoro insieme».

Per analizzare la precaria situazione della libertà di informazione a pochi giorni dalle elezioni nazionali del primo novembre, tra il 19 e il 21 ottobre si è tenuto ad Istanbul un congresso per la libertà di stampa , organizzato dalle maggiori associazioni internazionali per la libertà di espressione. Queste hanno incontrato i rappresentanti di circa venti media turchi e tre dei quattro partiti presenti nel parlamento turco. Il partito mancante, l’AKP, non ha risposto ad alcuna delle richieste di incontro inviategli.

Molte le richieste avanzate alle autorità turche. Prima fra tutte, la richiesta di un’investigazione completa sui violenti attacchi ai giornalisti e agli organi di stampa: ad esempio, la notte del 7 settembre scorso la sede del quotidiano Hurriyet e del gruppo editoriale Doğan è stata assediata da 200 protestanti filo-governativi  armati di pietre e bastoni, tra cui un deputato del partito al governo. Atto scatenante, un articolo che seguiva alcune dichiarazioni del presidente della repubblica Erdoğan per Haber Tv sottolineandone alcuni aspetti critici. Il 30 settembre, Ahmet Hakan, giornalista per CCN Turk e Hurriyet, è stato assalito riportando fratture al naso e alle costole . Il fatto è avvenuto poco dopo la presentazione del suo nuovo show televisivo Tarafsız Bölge (Zona Neutrale) sul canale CNN turco e il nome dell’assalitore non è noto.

Un’investigazione chiara e completa è richiesta anche in relazione all’episodio della giornalista inglese trovata morta in un bagno dell’aeroporto Atatürk di IstanbulJacky Sutton , ex corrispondente dalla Turchia della BBC e inviata di guerra, si sarebbe impiccata con i lacci delle scarpe secondo i principali media turchi: molti però i sospetti di un incidente non casuale contro una sostenitrice del ruolo delle donne nei media nel Kurdistan iracheno.

Ancora, si è sottolineato l’abuso nell’utilizzo delle leggi anti-terrorismo per limitare la cronaca di fatti di interesse pubblico o la critica di figure pubbliche. David Diaz-Jogeix, dell’associazione londinese Article 19, ricorda il caso di Can Dündar  che all’inizio dello scorso Giugno è stato sottoposto alla quarta investigazione negli ultimi 13 mesi. L’avvocato di Erdoğan ha richiesto due sentenze all’ergastolo per gli articoli d’inchiesta di Dündar sul quotidiano Cumhuriyet a riguardo della tratta di armi con i ribelli siriani operata su veicoli civili dai servizi segreti turchi. L’accusa è di «aver formato un’organizzazione criminale, che ottiene informazioni confidenziali che riguardano la sicurezza nazionale e le rende pubbliche e di spionaggio politico e militare».

Non si contano poi i casi di giornalisti accusati di collaborare con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), considerato organizzazione terroristica dall’ordinamento turco, nel riportare la situazione e gli scontri in atto nel sud-est del Paese. Tra questi il corrispondente di Vice news Mohammed Rasool , arrestato il 27 agosto scorso con i due colleghi inglesi Philip Pendlebury e Jake Hanrahan, che al contrario di Rasool sono stati rilasciati.

Molto spesso le leggi utilizzate per dissuadere la critica sono penali e la pena prevista detentiva: in particolare si considerano i reati di diffamazione e istigazione a delinquere (art. 299 e 312) . Queste leggi esistono dal periodo della riforma giuridica, linguistica e sociale che seguì la fondazione della repubblica di Turchia nel 1923. Allora si ripresero le legislazioni di molti paesi europei, nell’intento di occidentalizzare la Turchia, e per il codice penale si ricalcò l’italiano Codice Rocco, elaborato durante il ventennio fascista. Alta la protezione delle istituzioni, della nazione e del loro prestigio, squilibrata la protezione della sicurezza nazionale rispetto a quella di molti diritti fondamentali come la libertà di espressione. Molti degli articoli adottati nel codice turco sono ancora in vigore anche in Italia, come ad esempio la diffamazione (art.595 c.p.) e l’istigazione a delinquere (art. 414 c.p.). Il recente e mediaticamente noto caso che ha coinvolto lo scrittore Erri de Luca  è un esempio della, pur sporadica, applicazione che ne viene fatta.

Tornando alla Turchia, la  macchina della censura non risparmia le attività on-line , come ricorda Steven M. Ellis dell’International Press Institute (IPI): negli ultimi tre mesi, 101 siti web, 40 account sui social media e 87 url (uniform research locator) sono stati bloccati dall’Autorità delle telecomunicazioni (TİB – Telekomünikasyon İletişim Başkanlığı), un’agenzia governativa molto criticata per la grande discrezionalità di cui dispone nell’applicazione della legge su Internet (legge 5651).

Quale sia l’effettivo impatto pratico del congresso, è da discutere. Utile il lavoro di lobbying indirizzato ad ambasciatori e diplomatici stranieri perché esercitino pressione sul governo turco: in particolare verso Stati Uniti e Unione Europea; quest’ultima sta concedendo agevolazioni ai cittadini turchi a livello economico e di liberalizzazione dei visti in cambio di un aiuto nel fermare il flusso di migranti  che raggiungono l’Europa passando per l’Anatolia. All’Europa si chiede di non chiudere un occhio sull’elusione degli standard internazionali per il rispetto dei diritti umani, tra cui la libertà di informazione e di espressione, in cambio di favori per la gestione dei flussi migratori. Dubbio invece l’impatto diretto sul partito al governo, che non ha concesso incontri ai ricercatori in questione e non sembra curarsi di alcuna critica.

La censura (e l’autocensura, cioè la tendenza a evitare di trattare alcune tematiche ancor prima di essere accusati di qualcosa) non coinvolge solo la stampa, ma anche altri individui come gli artisti  sino ad arrivare ai singoli cittadini nella loro quotidiana espressione di opinioni. L’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ECHR) firmata dalla Turchia nel 1954 ricorda che ogni limitazione alla libertà di espressione, diritto fondamentale alla base di ogni dibattito, critica politica e pluralismo delle idee, dev’essere limitato alle «misure necessarie in una società democratica». Sessant’anni sono passati ed il concetto di società democratica sembra quanto mai oscuro.

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Parole chiave: elezioni (169), Turchia (21), libertà (19), stampa (11)
Fonte: Unimondo