La celebrazione alla Sagrada Familia dopo l’attentato. «Veniamo a chiedere pace»

Oltre mille persone nella cattedrale di Barcellona. L’appello del card. Omella:«La pace è il miglior nutrimento della nostra vita e per ottenerlo non dobbiamo risparmiare alcuno sforzo. L’unione ci rende forti, la divisione corrode e ci distrugge». Anche il mondo musulmano in piazza per solidarietà.

La celebrazione alla Sagrada Familia dopo l’attentato. «Veniamo a chiedere pace»

Era gremita da oltre mille persone domenica mattina la Sagrada Familia per la celebrazione voluta e presieduta dal cardinale di Barcellona, Juan José Omella, per pregare “per la pace e la concordia”.
Insieme a tanti semplici fedeli, in prima fila i reali di Spagna, il premier Mariano Rajoy, il presidente catalano Carles Puigdemont, il sindaco di Barcellona Ada Colau, numerosi membri del governo e rappresentanti della regione catalana, una cinquantina di sacerdoti e numerosi vescovi a concelebrare. Simboli di un paese che – lungamente provato dal terrorismo dell’Eta e a tredici anni dagli attentati alla metropolitana di Madrid – si stringe ancora una volta nel lutto, prova a elaborare risposte, si interroga sulle ragioni di una scia di odio che continua ad allungarsi sempre più.

Alla Spagna si stringono gli altri paesi, quelli colpiti dalla furia omicida e quelli che temono la stessa sorte, le istituzioni comunitarie, i rappresentanti di tutte le religioni a partire da papa Francesco, che ha raggiunto telefonicamente il cardinale Omella per assicurare la sua vicinanza, ribadita con poche, calde parole dopo l’Angelus di domenica scorsa:

«Nei nostri cuori portiamo il dolore per gli atti terroristici che, in questi ultimi giorni, hanno causato numerose vittime, in Burkina Faso, in Spagna e in Finlandia. Preghiamo per tutti i defunti, per i feriti e per i loro familiari; e supplichiamo il Signore, Dio di misericordia e di pace, di liberare il mondo da questa disumana violenza».

Ed è un inno alla pace, quello che si leva dalla cattedrale che più di ogni monumento porta i segni del genio visionario di Antoni Gaudì
«Noi, credenti o no, di questa terra, o gli stranieri – ricorda il card. Omella – tutti veniamo in questo tempio per chiedere al Signore di guarire coloro che sono stati colpiti da questi attacchi e di dare al nostro mondo di vivere in pace e armonia. La pace è il miglior nutrimento della nostra vita e per ottenere quel nutrimento non dobbiamo risparmiare alcuno sforzo. Tutti uniti da un obiettivo comune: pace, rispetto, coesistenza fraterna, amore solidale. Sì, fratelli, l’unione ci rende forti, la divisione corrode e ci distrugge».

Al suo appello fanno eco le tante voci di una società, quella catalana, che per secoli è stata terra di passaggio, di incontro, di contaminazione tra lingue, culture, religioni diverse.
E che oggi, anche grazie al boom turistico, si propone come simbolico paradigma di quel multiculturalismo che altrove è ancora visto come fumo negli occhi ma che è nel destino dell’Europa.
La Federazione delle comunità ebraiche spagnole, istituzione che rappresenta gli ebrei spagnoli davanti allo stato e che è presieduta da Isaac Querub Caro, in una nota ha chiesto «Ai partiti politici unità e fermezza, al fine di affrontare con intelligenza e determinazione la lotta contro il fanatismo e per la libertà e la democrazia».

Ma la manifestazione più significativa è forse quella che prende vita lunedì alle sette della sera in Plaza Catalunya, promossa da decine di associazioni e gruppi islamici di tutta la Spagna per ribadire quel “no al terrorismo” pronunciato quasi per primi dagli stessi familiari dei giovani jihadisti domenica a Ripoll, cittadina di 10mila abitanti nei Pirenei catalani da dove provenivano quasi tutti gli autori e i complici dell’attacco, ragazzi “normali”, senza alcun segno di fanatismo religiosi, radicalizzatisi a quanto sembra sotto l’influenza del locale imam.

Lui, Abdelbaki Es Satty, 45 anni, arrivato a Ripoll due anni fa, aveva alle spalle soggiorni in una delle cittadine del Belgio,Vilvoorde, a più alta densità di foreign fighters partiti per il Medio Oriente e soprattutto la frequentazione in carcere degli attentatori di Madrid del 2004. Un profilo che avrebbe richiesto ben altra sorveglianza di quella che, a quanto pare, gli era stata riservata dalle autorità.
Il piano, forse messo a punto in Marocco, secondo le prime ricostruzioni avrebbe dovuto essere ancor più cruento: nel loro covo i terroristi andavano preparando oltre cento bombole di gas di cui imbottire un tir.
Poi, l’esplosione ha mandato in fumo il progetto, lasciato sotto le macerie tre cadaveri – tra loro, a quanto pare, anche l’imam – e spinto gli altri componenti della cellula ad agire in fretta, caricando a tutta velocità gli inconsapevoli e innocenti turisti a passeggio lungo le Ramblas. L’ultimo attentatore in fuga viene ucciso lunedì. Quattro uomini della cellula sono in carcere: basterà a riportare la Spagna alla tranquillità?

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