La chiesa italiana accanto ai profughi siriani, per sognare un futuro diverso

Da martedì 11 a sabato 15 ottobre il segretario della Cei ha incontrato i gestori e i profughi coinvolti nei progetti che la chiesa italiana sta sostenendo in loco grazie ai fondi dell'8 per mille: «Non ci rassegniamo, il ritorno nelle vostre città un giorno sarà possibile».

La chiesa italiana accanto ai profughi siriani, per sognare un futuro diverso

«La mia presenza in Giordania, specie nei campi profughi, è finalizzata essenzialmente a ribadire la vicinanza della chiesa italiana a quanti fuggono dalla violenza della guerra e della persecuzione. È una vicinanza concreta, fatta di preghiera e di gesti solidali, che vanno dalla denuncia di tante situazioni disumane al sostegno fattivo a progetti di sviluppo».

È questo lo spirito con cui la scorsa settimana mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, si è recato in visita ai campi profughi in Giordania.
Da martedì 11 a sabato 15 ottobre Galantino ha dunque ribadito l'impegno dei vescovi e delle diocesi italiane a fianco della chiesa locale e, in particolare, della Caritas giordana.
Galantino ha incontrato i gestori e i profughi coinvolti nei progetti che la chiesa italiana sta sostenendo in loco grazie ai fondi dell'8 per mille che ogni anno una parte cospicua dei contribuenti destina alla chiesa italiana.

Il primo dei progetti visitati porta il nome di Refedin - ossia di Mesopotamia, "la terra tra i due fiumi".
Si tratta di un'iniziativa della nunziatura di Amman e ha lo scopo di offrire un'opportunità occupazionale a una ventina di giovani profughe irachene. Animato da don Mario Cornioli - sacerdote della diocesi di Fiesole in Terra Santa dal 2009 - ha visto il coinvolgimento di alcune sarte pugliesi di Cerignola, per una prima formazione.
«Siamo partiti circa nove mesi fa - racconta don Cornioli - per andare incontro alla situazione di queste ragazze, che costituiscono la parte più fragile della famiglia: quando sono prive di lavoro, si vedono costrette a rimanere tra le pareti di casa, mentre in questo modo guadagnano con dignità un piccolo stipendio e apprendono una professione che domani potrà essere spesa ovunque».
Al domani ha fatto riferimento anche mons. Galantino: «Questo progetto vi permette di cominciare a pensare al vostro futuro - ha detto incontrando personalmente le lavoratrici - che non immagino in Giordania, ma nuovamente nella vostra patria: a Mosul, Kirkuk o Bagdad, dove vivevate prima di essere scacciate nel 2014».

Il segretario generale Cei ha quindi partecipato, giovedì 13 ottobre, all'inaugurazione del Giardino della Misericordia, «un luogo di incontro, che mette a disposizione soprattutto del mondo giovanile un'opportunità preziosa: quella di dialogare e ritrovarsi tra culture e fedi differenti, con quello spirito di fraternità che dovrebbe contraddistinguere ogni civiltà e ogni persona».
Questa la definizione del progetto offerta da padre Mauro Gambetti, custode del sacro convento di Assisi, che ha accompagnato mons. Galantino nel viaggio nel regno mediorientale, uno dei paesi che ospita il maggior numero di profughi al mondo, oltre quattro milioni.
Si tratta di un centro culturale, gestito dalla Caritas attraverso l'impiego di alcuni disoccupati, dove i giovani universitari - oltre che poter accedere a corsi di lingue o all'internet point - possono incontrarsi e stare insieme. «Noi siamo molto contenti di aver partecipato alla realizzazione di questa opera - ha spiegato il custode - Siamo onorati nel vedere come da piccole cose, grazie anche alla generosità di tanti italiani, possa fiorire qualche nuovo germoglio, che può essere preso a modello per noi. Ci insegna la modalità con cui possiamo pensare l'integrazione nei nostri stessi paesi».
«Grazie ai fondi dell'8 per mille, ad esempio, come chiesa italiana abbiamo assicurato a 1.400 ragazzi profughi la possibilità di frequentare la scuola in questa terra martoriata - ha concluso Galantino - Senza istruzione, senza formazione, non ci sarà futuro anche quando si creassero le condizioni perché questa gente possa rientrare in Siria o nella pianura di Ninive».

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