La diga di Mosul: dalla conquista dell'Isis alla messa in sicurezza. Grazie all'Italia

La più imponente diga in Iraq, la quarta in Medio oriente. La diga di Mosul, passata per un breve periodo nelle mani dello Stato islamico, è l'emblema di come strategicamente si possa condurre una guerra attraverso il controllo dell'acqua. Dopo la liberazione è emerso lo stato di erosione della diga, una bomba a orologeria in grado di diventare un'arma di distruzione di massa. Per questo, anche grazie all'intervento di un'azienda italiana, si sta cercando di metterla in sicurezza 

La diga di Mosul: dalla conquista dell'Isis alla messa in sicurezza. Grazie all'Italia

Era una mattina del mese di agosto 2014 e truppe jihadiste del sedicente Stato islamico si apprestavano a issare la bandiera sulla diga di Mosul.
Qualche mese prima, l’Is aveva conquistato l’omonima città irachena di due milioni di abitanti nel suo fanatico piano di ripristinare il califfato sotto l’effige nera. Nel suo avanzare in Iraq, l’Isis ha utilizzato spesso l’acqua, le dighe e le forniture idriche, per perfezionare la sua strategia di conquista: uno strumento di minaccia per ricattare i governi locali chiudendo i rubinetti per creare siccità e lasciare a secco i villaggi, come fatto nel sud del paese con la diga di Falluja.

Ma la diga di Mosul è la più importante in Iraq e la quarta, per dimensione, di tutto il Medio Oriente.
Costruita sul fiume Tigri, a circa 35 km a nord dell’omonima città irachena, nella provincia di Ninive, la barriera ha uno sbarramento lungo 3,2 km e alto 131 metri e un bacino da 11 milioni di metri cubi di acqua. Conquistarla significa avere in mano il controllo dell’energia e delle risorse di un intero territorio e disporre potenzialmente, se fatta saltare, di una vera arma di distruzione di massa.

In realtà l’insidia terroristica ha solo fatto affiorare la gravità delle condizioni in cui versa
Dopo esser stata ripresa dalle forze curde nel giro di due settimane, alcuni funzionari hanno ispezionato la struttura, scoprendo che rischiava concretamente di collassare. Sin dalla sua edificazione nel 1986 su volere di Saddam Hussein, la pressione esercitata dall’acqua ha iniziato a creare infiltrazioni arrivando a erodere lo strato di gesso e a creare bolle che sono state riempite, di volta in volta, con l’iniezione di un cemento particolare seppur momentaneo. Ma la scarsa vigilanza degli ultimi anni (molti ingegneri sono scappati) ha accentuato il deterioramento.
In buona sostanza, se dovesse aprirsi una breccia, la potenza distruttiva dell’acqua devasterebbe la valle, inondando intere città e arrivando fino a Baghdad, lontana ben 350 km.

In questo scenario rischioso spicca il progetto di messa in sicurezza affidato, nel 2016, alla Trevi Spa di Cesena.
Circa 500 addetti, di cui 70 italiani, affiancati dall’esercito italiano stanno lavorando in un clima testo: lo Stato Islamico è lì che preme, l’eco degli spari rimbomba e rende emotivamente delicata l’operazione.
Un’operazione essenziale: l’acqua che per millenni ha rappresentato la vita in zone altrimenti aride, ora rischia di decidere nuovamente il destino dell’esistenza umana. 

Bioterrorismo: una minaccia reale?

Una diffusione intenzionale ed epidemica di batteri, tossine o agenti chimici tramite la contaminazione dell’aria, di quello che mangiamo e soprattutto di quello che beviamo.
Sorgenti, dighe e acquedotti possono essere il bersaglio di una guerra subdola che rientra nel cosiddetto “bioterrorismo”, un fenomeno difficile da prevenire e sradicare; una minaccia, per ora solo paventata, che alimenta un crescente clima di tensione e allarmismo.

Con forme e strategie differenti, la contaminazione virale dell’acqua è nota fin dal 300 a.C. con l’avvelenamento dei pozzi con resti animali. 
Durante il Medioevo, “attacchi biologici” venivano compiuti lasciando i cadaveri a marcire nelle riserve d'acqua nemiche.
Di recente, nel gennaio del 2016, gli ispettori dell’Onu si sono visti consegnare dall’intelligence turca un rapporto sul rischio di un attacco da parte dell’Isis attraverso la contaminazione delle risorse idriche del paese. Secondo i servizi locali, la sostanza utilizzata sarebbe stata la tularemia, un veleno ricavato dai roditori, soprattutto dai conigli, che provoca febbre, vomito e una sensazione costante di spossatezza. Con l’aggravante di esser confusa per una polmonite e temendo di avere strutture inadeguate, la Turchia ha mostrato evidente preoccupazione.

Tuttavia, secondo il rapporto sulla “Sicurezza dei sistemi acquedottistici”, realizzato in collaborazione tra il ministero della salute, l’Istituto superiore di sanità e Federgasacqua, il pericolo di tangibili forme di terrorismo attraverso sistemi idrici è ragionevolmente limitato.
Sebbene lo scenario richiede un’adeguata sensibilizzazione dell’opinione pubblica per evitare psicosi e paure diffuse, un attentato su larga scala perpetrato utilizzando l’acqua potabile richiederebbe rilevanti quantità di agenti tossici, con evidenti problemi sul reperimento e dubbi sulla stessa efficacia infettiva.

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