Nucleare iraniano: una vittoria della diplomazia, ma la parola fine ancora non è scritta

L'accordo sul nucleare iraniano è fatto, ma la situazione è tutt'altro che risolta. Anzitutto perché le minoranze conservatrici americane e iraniane sembrano tutt'altro che pronte ad avvallare quanto deciso a Losanna, ma soprattutto perché il reintegro del gigante mediorientale nel sistema delle alleanze internazionali, seppur determinante per stabilizzare l'area in cui imperversa l'Isis, potrebbe generare altre tensioni nella guerra tutta interna all'islam tra sunniti e sciiti.

Nucleare iraniano: una vittoria della diplomazia, ma la parola fine ancora non è scritta

«Un ulteriore passo in avanti in tema di sicurezza nucleare. L'accordo concluso a Losanna dopo lunghe trattative, infatti, da un lato permette a Teheran di poter accedere all'uso pacifico dell'energia nucleare, ma al tempo stesso è teso a garantire alla comunità internazionale che tale accesso non sia il primo passo verso l'arma atomica. Questo è il risultato dell'azione congiunta di diverse potenze leader, tra cui Stati Uniti e Russia, e dimostra la positività di tale intesa a livello della sicurezza internazionale». Spiega così Massimo Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, l’accordo sul nucleare iraniano, stipulato all’inizio di aprile nella città svizzera.

Ma se il risultato di 18 mesi di trattativa è stato salutato con favore da molti osservatori internazionali – come il successo della diplomazia sulla guerra – e dalla popolazione locale, che ha accolto in patria il ministro degli esteri Zarif come un eroe per la fine delle sanzioni che stritolano tuttora l’economia iraniana, è vero che la sicurezza nucleare è tutt’altro che cosa fatta. All’accordo, che andrà sottoscritto definitivamente entro il 30 giugno, devono infatti seguire delle linee precise di attuazione, specie sulle ispezioni alla catena nucleare che l’Iran ha sì accettato, ma escludendo i siti militari. Il rischio è che il gigante mediorientale diventi dunque uno dei paesi “di soglia”, privo di testate, ma capace di costruirne velocemente.

«Se, come stabilisce l'accordo, occorrerà vigilare affinché non si ripetano casi come quello della Corea del Nord, che ha realizzato tale arma nonostante i controlli internazionali, è opportuno ricordare che la questione nucleare rimane comunque aperta sulla scena internazionale -­ aggiunge Simoncelli – In primo luogo va ricordato che, nonostante l'impegno delle cinque potenze nucleari firmatarie del Trattato non proliferazione nucleare (Tnp) a disarmare sin dal 1968, gli arsenali rimangono dotati di ben 15.650 testate, in grado di distruggere il nostro pianeta più volte. In particolare, Russia e Stati Uniti, con le loro 14.600 testate (7.500 Mosca e 7.100 Washington), si presentano ancora una volta come le maggiori superpotenze».

Archivio disarmo ricorda inoltre che esistono anche gli arsenali dei quattro paesi non aderenti al Tnp (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord), per un totale di circa mille testate fuori delle garanzie del trattato. Inoltre va considerato il costoso programma statunitense di ammodernamento delle bombe nucleari tattiche B61 (10 miliardi di dollari): 180 testate non strategiche localizzate in diversi paesi europei (Germania, Olanda, Belgio, Italia e Turchia).

Ma le opposizioni all’accordo sul nucleare iraniano sono molte. Anzitutto dai repubblicani americani, che pretendono l’ultima parola in Congresso, e dai conservatori iraniani, che su questa partita si giocano il tutto per tutto per arginare il successo politico del riformatore Rohani. Grande attenzione merita però anche lo scontro tutto interno all’islam in atto nel Medioriente e ben visibile in Yemen, dove i Sauditi (sunniti) sono intervenuti contro gli sciiti locali. E proprio la sunnita Arabia Saudita, che pure ha aperto all’accordo, appare in fibrillazione per l’ascesa dell’Iran sciita sulla scena internazionale, con il rischio di perdere il ruolo di principale alleato Usa nella regione. Se a questo si aggiungono le continue proteste di Israele del rieletto Netanyahu, che teme per la propria sopravvivenza, si comprende come la situazione sia tutt’altro che risolta.

In allegato un'infografica della Casa Bianca che mette a confronto ciò che accadrà in seguito all'accordo rispetto a quanto si sarebbe verificato se la trattativa si fosse arenata.

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