Parla il governatore della provincia di Mosul. «Ora va ricostruita la pace»

La città liberata nei giorni scorsi dopo tre anni di assedio del sedicente Stato islamico versa in condizioni terribili. Ma l'emergenza principale non sono i muri da puntellare o ricostruire. Bashar Hameed Mahmood Al-Kiki, presidente del governatorato di Ninive, di cui Mosul è capoluogo, ha ricevuto nella sede lussemburghese del parlamento europeo il Luxembourg Peace Prize, un riconoscimento ai sduoi sforzi di mantenere un clima di pace tra le varie etnie che abitano la regione.

Parla il governatore della provincia di Mosul. «Ora va ricostruita la pace»

«Mosul è stata liberata dall’Isis».

È il recente annuncio del primo ministro iracheno, che nei giorni scorsi si è congratulato con le forze armate che hanno sconfitto gli jihadisti dello stato islamico dopo 266 giorni di battaglia. Appena una settimana prima a Lussemburgo, nella sede amministrativa del parlamento europeo Bashar Hameed Mahmood Al-Kiki, presidente del governatorato di Ninive, di cui Mosul è capoluogo, ha ricevuto il Luxembourg Peace Prize.

Un riconoscimento della Schengen Peace Foundation conferito per i suoi sforzi nel promuovere un clima di pace tra le varie etnie che abitano la zona di Ninive.

«La Piana di Ninive si è sempre caratterizzata per l’eterogeneità delle sue comunità – dice Al-Kiki, subito dopo aver ricevuto il premio – Cristiani, turcomanni, ezidi, caldei, shabaki hanno convissuto per secoli con i musulmani, mentre dall’estate del 2014 a causa dell’avanzata violenta dello stato islamico sono stati costretti a fuggire e a vivere da sfollati. Il riconoscimento della Schengen Peace Foundation oggi assume un valore ulteriore e mette in risalto tutti i tentativi che abbiamo fatto finora per ottenere la pace. È un onore per la mia nazione, che da sempre ama la convivenza».

Bashar Al-Kiki, infatti, è tra i principali promotori di una serie di iniziative pubbliche ideate per far incontrare leader tribali, religiosi e guide delle comunità di minoranza, tutti provenienti dalla area del nord dell’Iraq, con uomini, donne, giovani, artisti, giornalisti e organizzazioni della società civile per discutere della situazione attuale e pensare buone pratiche di futura convivenza pacifica.

Iniziative che hanno portato alla creazione del Consiglio per la pace di Ninive nell’ambito di un piano di intervento dedicato al peacebuilding iracheno che coinvolge cinque comunità religiose, quattro sindaci, il consiglio provinciale e il governatore dell’area, oltre a una quindicina di associazioni locali.

«Sono sempre stato convinto che Mosul sarebbe stata liberata, ma la prima cosa da fare ora in previsione del ritorno di quanti hanno dovuto scappare è favorire l’inclusione, la riconciliazione, il dialogo e la mediazione per evitare la nascita di nuovi gruppi armati su base confessionale, per scongiurare vendette ed episodi di violenza che alimenterebbero solo la tensione già esistente. Proprio in quest’ottica s’inseriscono le iniziative che il consiglio del governatorato di Ninive sta cercando di sviluppare da un paio d’anni – prosegue Al-Kiki – Dopo la caduta di Mosul nelle mani del Califfato circa 120 mila cristiani sono stati costretti a fuggire e trovare rifugio nei campi profughi. La situazione è davvero pesante. A fine gennaio la comunità cristiana irachena ha festeggiato il rientro di una famiglia nella Piana di Ninive, a Telesskuf, dopo la liberazione del villaggio da parte delle milizie curde Peshemerga. Ora piano piano procedono al rientro anche altre famiglie, ma non sarà semplice».

Azioni, quelle messe in atto dal governatorato di Ninive, per ricostruire un territorio fortemente provato a partire dalle relazioni di fiducia reciproca, che oggi mancano tra le varie parti della popolazione. «Con l’occasione vorrei ricordare l’impegno dei Peshemerga, perché difendendo la nostra gente dall’Isis hanno difeso anche la nostra idea di pace e convivenza», conclude Bashar Al-Kiki, senza dimenticare di lanciare una richiesta d’aiuto anche all’Europa.

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