Un fiume di sangue sul Messico alla vigilia delle elezioni

Il Messico sta vivendo uno dei periodi più bui della sua storia: la violenza aumenta e le sparizioni forzate stanno assumendo i contorni di una vera e propria “strategia del terrore”. E questo a pochi giorni dalle elezioni parlamentari del 7 giugno, quando gli elettori si recheranno alle urne per eleggere 9 governatori, 641 consigli municipali, 500 seggi alla camera dei deputati, 993 sindaci e 16 delegazioni dei singoli stati a Città del Messico.

Un fiume di sangue sul Messico alla vigilia delle elezioni

Il clima, però, è tesissimo
Nelle scorse settimane due candidati sindaco sono stati assassinati. Nello stato di Guerrero, a metà maggio, una quindicina di persone sono state fatte sparire, probabilmente rapite da un gruppo armato che ha occupato la città di Chilapa per alcuni giorni. Da ultimo, l’eclatante sparatoria tra polizia e civili armati nel Michoacan, con 43 morti, avvenuta nei giorni scorsi.

I numeri della violenza sono drammatici
Durante i sei anni di presidenza di Felipe Calderon (dal 2006 al 2012), secondo un rapporto dell’Istituto internazionale di studi strategici, gli omicidi sarebbero stati 70 mila. Con Enrique Peña Nieto, presidente dal 2012, in meno di tre anni sono già state uccise 41 mila persone. Nieto fa parte del Partido revolucionario institucional (Pri) che ha governato il Messico ininterrottamente dagli anni Venti al 2002, quando il Partido acciòn nacional (Pan), ha ottenuto la guida del paese con Calderon, per due mandati, prima che il volante tornasse nelle mani del Pri.

Pochi giorni fa, cinque bambini messicani hanno causato la morte di un loro amichetto mentre stavano giocando a rapirlo
La drammaticità della notizia la dice lunga sul livello di “normalità” raggiunto dal fenomeno delle sparizioni forzate. Un fenomeno che ha ottenuto l’attenzione del mondo dopo la scomparsa dei 43 studenti e che, in Messico, sta avendo ulteriore risonanza grazie all’inchiesta di Federico Mastrogiovanni, autore di Ni vivos ni muertos, un documentario e un libro (da poco pubblicato in Italia da Derive e approdi) che spiegano come il fenomeno dei desaparecìdos debba essere considerato una vera e propria «strategia del terrore, con la partecipazione diretta o indiretta dello stato».
«Dal 2006 a oggi le sparizioni hanno avuto una crescita esponenziale – spiega Mastrogiovanni – Le organizzazioni che se ne occupano ne stimano, per difetto, 30 mila. Se confrontiamo le sparizioni con una mappa del Messico, ci accorgiamo che avvengono in luoghi ricchi di risorse naturali: petrolio, gas, minerali. Se da un lato terrorizzi e dall’altro militarizzi il paese, come sta avvenendo, annulli la volontà delle persone di protestare contro progetti industriali invasivi e poco rispettosi dell’ambiente».

Il Messico è un paese in crescita, la sua economia in via di sviluppo è una delle più capaci di attrarre capitali esteri, «ma tutto questo avviene – commenta il giornalista – a spese della popolazione. La crescita del paese sta avendo un costo sociale altissimo, in termine di repressione e violenza».

Un tema, questo, ben chiaro anche ai vescovi messicani
«Non ci può essere alcun progresso o sviluppo senza fiducia, che si deve ripristinare. Come? Con la credibilità – ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale del Messico card. José Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara, in un’intervista riportata dall’agenzia Fides – La popolazione deve verificare che quanto dicono viene poi fatto. I messicani vogliono vedere il bene per tutti, non solo per pochi. Noi chiediamo alla gente di votare, ma con criterio: si deve conoscere il candidato, cosa ha fatto per il bene comune».

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