106 anni fa affondava il Titanic. Come ne dava notizia La Difesa del Popolo

106 anni fa la celebre tragedia marittima che ispirò generazioni. A pochi giorni dal disastro, La Difesa del Popolo raccontava storie di eroismo e di devozione a bordo della nave, l'angoscia dei soccorsi, il numero delle vittime. Un viaggio nel tempo tra i numeri più antichi della nostra testata diocesana.

106 anni fa affondava il Titanic. Come ne dava notizia La Difesa del Popolo

Alle 2.20 di lunedì 15 aprile 1912 (le sei del mattino in Italia) l’Oceano Atlantico inghiottiva, durante il suo viaggio inaugurale, l’RMS Titanic, il più grande oggetto mobile fino ad allora costruito dall’uomo.

Oltre 2200 le persone a bordo, tra passeggeri e membri dell’equipaggio: di questi, solo un terzo riuscì a salvarsi sulle poche scialuppe a disposizione dopo l’urto con un iceberg. Per oltre un secolo sul Titanic sono stati prodotti libri, film, programmi televisivi; la scoperta del relitto, nel 1985, da parte dell’oceanografo Robert Ballard, non fece altro che aumentare la leggenda di questa nave mitologica, diventata simbolo della superbia dell’uomo punita dalla Natura.

La Belle Époque era al suo culmine: le crisi e le instabilità dell’Ottocento sembravano ormai tramontate. La scienza e la tecnica, in pieno spirito neopositivista, avrebbero presto risolto tutti i problemi dell’uomo. L’affondamento del Titanic, per mesi lodata sui giornali come nave “inaffondabile”, rappresentò uno shock. Certamente un pessimo auspicio per un mondo che da lì a pochi mesi sarebbe sprofondato negli orrori della prima guerra mondiale.

In pochi giorni la notizia del disastro, rilanciata dalle agenzie attraverso le linee telegrafiche, raggiunse anche Padova.

La Difesa del Popolo, allora al suo quinto anno di vita, uscì regolarmente domenica 21 aprile 1912, seconda domenica di Pasqua, nelle parrocchie della Diocesi. Furono stampate dodicimila copie al prezzo di tre centesimi di lira ciascuna.

Il titolo in prima pagina riportava:

Il più grave disastro del mare. 1800 annegati nell’oceano”.

La notte di Domenica il piroscafo translantico (sic.) Titanic con 2550 passeggeri era giunto all’altezza dell’isola di Terranova, diretto New-Jork (sic), quando si trovò dinanzi spinto dalle onde un ammasso enorme di ghiaccio della larghezza di 150 chilometri. Il cozzo era inevitabile.

Probabilmente vi fu un refuso da parte del redattore, dato che l’iceberg probabilmente era largo centocinquanta metri, decisamente non centocinquanta chilometri.

In prima pagina la Difesa di 106 anni fa rilanciò alcune comunicazioni telegrafiche tra il Titanic e le navi vicine. Non mancano le discrepanze con le ricostruzioni degli storici su orari e dinamiche dei soccorsi. Quello che però la Difesa cattura a pieno, a poche ore dal disastro, è il clima di angoscia sulla nave poi immortalato dalla letteratura e dalla cinematografia.

Appena la nave cominciò ad affondare, i passeggeri si buttarono in mare disperati; moltissimi rimasero morti, schiacciati o soffocati nelle cabine dove dormivano e dove l’acqua penetrò con indescrivibile violenza. Nessuna penna umana vale a descrivere quelle terribili ore d’angoscia in cui 2500 vite umane lottavano colla morte.

Moltissime donne poterono essere salvate dalle scialuppe e dalle piccole barche gettate in mare dalle navi accorse in aiuto.

Proprio come avviene oggi, si presta attenzione alla presenza degli italiani:

Nella lista dei passeggeri di seconda classe si incontrano i seguenti nomi di suono italiano: Sebastiano Del Carlo e signora, Emilio Mangiavacca e Emilio Portalupi: costoro sembra siano salvi.

In realtà, Sebastiano Del Carlo, emigrante di Lucca, trovò la morte nel naufragio, mentre la moglie Argene si salvò. Anche Emilio Mangiavacchi di Firenze (e non Mangiavacca) annegò sul Titanic. Più fortunato Emilio Portaluppi, artista e scultore originario di Varese che non solo sopravvisse, ma iniziò poi una relazione con la miliardaria diciottenne Lady Astor, anche lei sopravvissuta al naufragio nel quale invece perì il marito Jacob Astor IV, l'uomo più ricco della nave con un patrimonio di 87 milioni di dollari, che ad oggi sarebbero due miliardi e mezzo. Secondo alcuni proprio la liason interclassista tra l'italiano Portaluppi e la ricchissima Lady Astor avrebbe ispirato James Cameron nel creare i suoi personaggi Jack e Rose e la loro storia d'amore per il suo film Titanic del 1997.

Sulla Difesa si prova una conta dei morti:

Circa il numero delle vittime i giornali furono discorsi, perché i radiotelegrammi accennavano sempre a calcoli particolari. Però le ultime informazioni fanno ascendere a 1800 i poveri annegati. È il più colossale disastro marittimo che la storia ricordi.

Subito, anche la Difesa, sulla spinta dei giornali in uscita quei giorni, riportò le notizie di “Enormi ricchezze perdute”, che alimentarono nei decenni successivi i sogni di gloria dei cacciatori di tesori:

Il Daily Mail fa un calcolo approssimativo degli immensi valori che si trovavano a bordo della nave. Essa era assicurata per 95 milioni di lire. Una signora che si trovava a bordo aveva con lei delle perle e delle gemme valutate a 20 milioni, mentre una parte dei diamanti commerciabili che si trovavano anche a bordo erano stati assicurati per la somma di tre milioni […] Tutto formato (sic) il disastro del Titanic costò la vita a 1800 persone e sommerse nell’atlantico valori per oltre un miliardo!.

Le notizie dal naufragio del Titanic continuarono a fluire anche nelle settimane successive.
Nel numero del 28 aprile 1912 la Difesa titolò “Episodi di pietà e di dolore nel disastro del Titanic”.

Ci consentano i lettori che in luogo delle pagine d’eroismo dei nostri soldati (dalla guerra Italo-Turca ndr.) poniamo oggi la descrizione paurosa di alcune scene raccapriccianti avvenute in pieno oceano, nel buio della notte tra sabato e domenica, mentre il Titanic, il più grande piroscafo del mondo scendeva nell’Atlantico, ingoiando seco 1638 viaggiatori.

Le stime si fanno più precise, ma qui il redattore fa confusione con i giorni, dato che il disastro avvenne nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 aprile.

M’avvicino a te Dio mio – La preghiera dei morituri

Le donne non volevano separarsi dai loro mariti e gli uomini si rifiutavano di prender posto nelle imbarcazioni per lasciare ad altri la probabilità di scampo. Si narra del coraggio e dello spirito di sacrificio mostrato dal giovane telegrafista Phillipps della compagnia Marconi rimasto al suo posto per tentare di mandare gli ultimi segnali nonostante avesse ricevuto l’ordine di mettersi in salvo.

La Difesa sceglie di mettere in risalto le preghiere avvenute sulla nave.

Ma il più patetico è l’ordine dato dal capitano di far schierare sul ponte la banda della nave mentre questa affondava ed intonare un inno caro a tutti gli inglesi di sentimenti religiosi. L’inno comincia colle parole “Io mi avvicino a te, o Dio mio” (Nearer my God to Thee Ndr.). Questo inno fu suonato nel momento più tragico quando la pendenza della nave divenne tale che i passeggeri non potevano più tenersi in piedi. Molti cantarono l’inno ad alta voce mentre si stringevano in catena tenendosi per le mani.

Un altro capitolo è destinato ai ritardi nei soccorsi con le navi vicine, tema su cui si scriveranno decine di libri. Il redattore della Difesa del 1912 non tralascia anche i resoconti più angoscianti, confermati successivamente dall’attività degli storici.

“Mio Dio, mio Dio!” L’ultimo grido disperato

Il telegrafista Bride dice: «Io vidi sul ponte un battello portabile che parecchi uomini cercavano di aprire. Andai ad aiutarli; fui portato via da un’ondata che mi trasportò col battello.  – Questo si era rivoltato ed ero rimasto sotto di esso, ma riuscii però a liberarmi. Intorno a me centinaia di uomini nuotavano sostenuti dalle cinture di salvataggio; io lottavo con tutta la mia forza per allontanarmi dal Titanic che affondava ad una cinquantina di metri.

Allorché il Titanic scomparve riuscii ad aggrapparmi al battello portatile. La scena intorno a me era terribile. Alcuni uomini nuotavano, altri venivano inghiottiti.

Dalla località ove aveva galleggiato il Titanic si levarono grida ed urla che continuarono almeno per un’ora. Le ultime grida furono emesse da una voce di uomo che diceva. Mio Dio, Dio Mio!.

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