11 aprile 1915: aggrappati alla speranza

I cattolici, di cui la Difesa si fa portavoce, restano ostinatamente legati alla “neutralità relativa”. Evitare la guerra, sostengono conti alla mano, vuol dire non gettare il paese in uno spaventoso gorgo di morti, di danni economici e di conseguenti peggioramenti delle condizioni di vita degli strati più poveri della popolazione. Ma se la patria chiama... 
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11 aprile 1915: aggrappati alla speranza

Aprile 1915: siamo ormai alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nell’immane calderone bellico
Quell’Italia, che alla dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria e della Germania contro Serbia, Russia, Francia e Inghilterra si era tenuta neutrale, prevedendo l’accordo della Triplice alleanza un intervento automatico solo in caso di aggressione, ora sente di non poter più stare a guardare.
L’inevitabile mutamento dello status politico della penisola balcanica richiedeva una qualche compensazione e per questo iniziarono le consultazioni diplomatiche, sia con l’Austria che con la Triplice intesa. Alla fine, dice la storia, il 26 aprile fu firmato il Patto di Londra che impegnava l’Italia a entrare in guerra entro un mese a fianco dei francesi, degli inglesi e dei russi.
L’obiettivo non era solo quello di “completare il risorgimento” con la liberazione di Trento e di Trieste, ma di ottenere anche l’Alto Adige fino al confine del Brennero, l’Istria, le coste della Dalmazia settentrionale, alcune isole adriatiche e Valona in Albania.

Intanto l’opinione pubblica italiana si divide aspramente in interventisti e neutralisti
La Difesa, schierata con questi ultimi, sottolinea soprattutto il costo che la povera gente dovrebbe sopportare “Se l’Italia facesse la guerra...” Sotto questo titoli il 4 aprile si tenta una previsione dei sacrifici che la nazione dovrebbe sopportare per mantenersi in stato di guerra solamente per il primo anno: 540 mila uomini messi fuori combattimento, una spesa di tre miliardi e 600 milioni di lire.
In conclusione – sottolinea l’articolista – una guerra fortunata, lunga fino a dicembre, porterebbe alla perdita del fiore della gioventù italiana, all’aumento schiacciante delle imposte, alla diminuzione notevole della ricchezza nazionale, alla restrizione del credito, alla disoccupazione e alla riduzione dei salari, al rincaro della vita specialmente a carico delle classi lavoratrici. In una parola sarebbero peggiorate le condizioni generali dell’economia nazionale e quelle particolari di tutte le classi sociali, specialmente di quelle disagiate.

La prima pagina del numero dell’11 aprile 1915 porta in apertura un titolo interlocutorio: “L’Italia apportatrice di pace?”
Una domanda che tra poco più di un mese troverà risposta, purtroppo negativa, ma che in questo momento è ancora pienamente aperta poiché «la diplomazia della triplice intesa da una parte – scrive l’articolista – e Bulow dall’altra fanno sforzi enormi presso il nostro governo gli uni per trascinarlo nell’intervento, l’altro per trattenerlo ancora».

Il 18 aprile l’articolo di apertura torna sui medesimi argomenti titolando «Mentre s’invoca la guerra. Le condizioni e i bisogni del popolo”: «La maggioranza grande e autorevole è composta in Italia dai “disgraziati” e dai “poveri”. Ma, in rapporto alla guerra, qual è la volontà di questa maggioranza? (...) Osserviamo i fenomeni assai gravi che tutti avvertiamo e che gli studiosi segnalano: aspro rincaro della vita sia per pigioni, sia per il vitto, aggravato dai recenti aumenti d’imposta e reso più acuto dalle perturbazioni economiche della guerra. “Questo rincaro – dice un competente che tiene celato il proprio nome sotto uno pseudonimo – da solo ha forse in molta parte o in tutto elisi i miglioramenti e le conquiste che le classi operaie italiane si erano assicurate in un lungo periodo d’agitazioni, di organizzazioni e di lento progresso. I problemi della casa popolare, della cooperazione, della organizzazione e del credito al lavoro, della piccola proprietà, della provvidenza e previdenza contro le malattie, gli infortuni, l’inabilità, la vecchiaia ecc. sono ancora o appena sfiorati o affatto trascurati. Orbene, tutti questi sono problemi che vengono tanto più imperiosi e urgenti quante più aspre e difficili divengono per il popolo le condizioni di vita. La situazione è grave e minacciosa oggi che sentiamo l’effetto della guerra altrui. Quale sarebbe sotto il morso atroce degli effetti derivanti da una nostra guerra?».

Nello stesso numero però si ricorda ancora una volta, per voce dell’on. Tovini intervistato dall’Avvenire d’Italia, che i cattolici italiani «non possono dimenticare le ragioni supreme del patrio riscatto, le ragioni della moderna civiltà italiana, le dichiarazioni impegnative del governo, lo spirito informatore della coscienza popolare. Pertanto sono “neutralisti relativi”. È un brutto termine: megli sarebbe il dire che sono “agli ordini della patria”. Se il governo chiamerà il paese alla guerra, i cattolici faranno il loro dovere sul campo per la grandezza della patria».

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