11 novembre 1916: una bomba sola e fu una strage

Venerdì 11 novembre alle ore 10.30 il parroco del Carmine mons. Alberto Peloso celebra nel sacello della Rotonda una messa in ricordo delle vittime del bombardamento austriaco che cento anni fa, in quello stesso giorno, tolse la vita a 92 persone. Alla sera quattro aeroplani austriaci nel giro di pochi minuti lanciarono dodici bombe sulla città. Undici non fecero alcun danno. Una però cadde all’ingresso del rifugio ricavato nel bastione della Gatta, in piazza Mazzini, che era inagibile perché allagato dalle piogge abbondanti nei giorni precedenti.
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11 novembre 1916: una bomba sola e fu una strage

11 novembre: triste centenario per la città di Padova che ricorda il più sanguinoso bombardamento aereo della Grande guerra, costato più di novanta morti e molti feriti, perlopiù donne  e bambini, vittime di un’incursione aerea condotta da quattro apparecchi che sganciarono una dozzina di bombe.
Una tragica fatalità, si potrebbe dire guardando alle cause che determinarono la tragedia, se non fosse che a causarla fu la volontà di morte che in quei tempi scorreva per l’Europa intera facendo strage di soldati e di civili, senza discriminazione.

Ma lasciamo la parola alla cronaca, in differita, della Difesa, che uscì a tutta pagina una settimana dopo
«Ieri sera, appena udita la sirena un centinaio di persone, quasi esclusivamente donne e bambini, lasciate le case si avviarono verso l’abituale riparo. Già i primi accorsi erano entrati nel baraccamento e, attraverso un piccolo andito, erano all’ingresso della cantina. Aperta la porta dovettero però ritirarsi poiché la cantina era allagata. I canali che affluiscono nel Brenta, gonfi per le piogge cadute negli scorsi giorni, avevano rotto gli argini e l’acqua aveva invaso quasi tutte le cantine di Padova. Intanto gli aeroplani austriaci volteggiavano sulla città: già due bombe erano cadute ed il terrore dominava quella folla che si pigiava quasi allo scoperto presso il luogo di rifugio senza potervi entrare. Molti, ritardatari, si chiedevano anzi la causa che teneva fermi i primi innanzi all’ingresso della cantina.
«Trascorsero brevi istanti di trepidazione: improvvisamente un boato spaventoso si udì: era la bomba che attraversava lo spazio, e poi uno schianto, un lampo di fuoco, un fragore d’inferno ed un crepitio di travi infrante e di mura diroccate. Il bolide si era abbattuto sul baraccamento, precisamente sul lato ove era il piccolo corridoio che dava accesso alla cantina allagata, aveva distrutto ogni resistenza ed era scoppiato tra questi infelici che, maciullati, furono nell’istante stesso travolti sotto le macerie.
«Qualche minuto dopo accorsero sul luogo della tragedia cittadini, vigili e poco più tardi le autorità locali. Al lume delle torcie furono iniziate, con grande precauzione, le opere di soccorso. Ma difficile era l’estrazione dei cadaveri, poiché solo brandelli umani apparivano tra i rottami e per spingersi sino all’ingresso della cantina occorreva rimuovere con grande precauzione le macerie.
«Alla mezzanotte erano già stati estratti otto bambini e quindici donne. I cadaveri allineati nel terrapieno innanzi al teatro Rotonda venivano man mano ricomposti e coperti con lenzuola. I vigili continuarono sino all’alba la loro opera ininterrotta e solo alle prime luci del giorno fu possibile penetrare nell’andito angusto che precedeva la cantina. Quivi erano ammassati trenta cadaveri stretti, avvinghiati gli uni agli altri, impantanati nell’acqua che aveva fatto impeto dalla cantina. Con pompe fu necessario prosciugare la cantina ed allora sul basso fra la melma furono trovati altri cadaveri. Sospinti dalla forza del colpo i primi che si pigiavano presso l’ingresso erano stati sbalzati innanzi ed erano annegati. Verso le quattro del pomeriggio ancora venivano estratti cadaveri...».

La cronaca dell’evento non ha bisogno di commenti, rende lo sbigottimento della popolazione padovana che non era certo preparata a questa morte piovuta dal cielo.
Le norme di sicurezza, i sistemi di avvistamento e di allarme, col suono delle sirene e delle campane, le postazioni di mitragliatrici e di fotoelettriche, l’oscuramento, i sacchi di sabbia, lo sgombero dei materiali infiammabili dai solai, le protezioni poste attorno ai monumenti più importanti, tutto questo sembrava una precauzione perfino eccessiva. Dopo l’11 novembre non fu più avvertita come tale e si cominciò anzi a chiedere un oscuramento più rigoroso e rifugi più efficienti. L’apparente solidità delle mura era del tutto illusoria come dimostrerà, nella guerra successiva, l’altra grande strage padovana, quella del bastione Impossibile.

Il ricordo delle comunità parrocchiali

Con il titolo comune “Parrocchie insieme 100 anni fa” le comunità di Eremitani, Carmine e del tempio della Pace aprono una serie di iniziative comuni volte a ricordare gli avvenimenti che hanno colpito la città durante la grande guerra, a cominciare dal tragico eccidio “della Gatta”.
Venerdì 11 novembre alle ore 10.30 il parroco del Carmine mons. Alberto Peloso celebrerà nel sacello della Rotonda una messa in ricordo delle vittime del bombardamento austriaco che cento anni fa, in quello stesso giorno, tolse la vita a 92 persone con una sola bomba. Un’altra celebrazione eucaristica in memoria avrà luogo nella basilica del Carmine domenica 13 alle ore 11: durante il rito saranno scanditi uno ad uno i nomi degli scomparsi, commemorati nei registri parrocchiali.
Ancora domenica 13 nel tempio della Pace alle ore 16.30 si terrà un incontro intitolato “Canti e parole di pace” aperto dal parroco don Elia Ferro, che parlerà su “1916, aspirazione e voto per la pace”. Seguiranno gli interventi di Emanuele Cenghiaro su “Padova nella grande guerra” e Mariangela Lando su “Torrione della Gatta: bombardamento e strage”. Gli interventi musicali saranno tenuti dal coro La Valle diretto da Luciano Pengo.

Abbiamo scritto

19 novembre 1916: come fu compiuto l’eccidio
Sabato sera, alle 19.10, venne tolta la corrente elettrica: erano vari mesi che ciò non avveniva più, ma la cittadinanza non vi dette peso pensando che si trattasse di una misura precauzionale, per qualche minaccia a Venezia. Senonché alle 19.30 si udirono le detonazioni d’allarme.
Subito dopo si sentirono nel silenzio della placida notte lunare i rombi di quattro motori. I riflettori delle sezioni foto-elettriche cercavano di afferrare nei loro fasci di luce gli apparecchi nemici ai quali però il chiarore lunare offriva sereno rifugio: le bombe lascite cadere dai velivoli nemici non furono poche, ma ad eccezione di una non ebbero gravi conseguenze. Una prima bomba cadde con terribile fragore, una seconda seguì un minuto dopo e poi una terza ed una quarta ancora.
Furono quattro schianti infernali che dominarono sinistramente il crepitio dei cannoni; poi, divenuto questo più intenso, regolato man mano con maggior precisione i tiri, i quattro velivoli furono costretti ad allontanarsi. Erano stati sulla città alcuni minuti e ne ripartirono   a grande altezza, prendendo la via del mare, senza bordeggiare, sfuggendo ancora al tiro della nostra artiglieria.
Nessuno dei proiettili era caduto vicino ad opere di guerra: immune la stazione, immuni le sedi dei comandi locali, immuni i depositi e le caserme. Le quattro bombe si erano abbattute sui quartieri popolari: due erano finite  su un piccolo orticello e in una corte, la terza su un parapetto stradale, e non avevano fatto altro danno che quello di infrangere centinaia di vetri. Ma la quarta bomba, la più potente, era andata a portare la strage a un misero baraccamento nel quale cercavano riparo povere famiglie del popolo che avevano lasciato le loro case non appena udito il fischio della sirena.

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