28 novembre 1915: in guerra per amor di patria o di denaro?

Già nei primi mesi di guerra cominciarono ad emergere valutazioni sugli illeciti guadagni che venivano ottenuti dalle industrie coinvolte nelle forniture militari. Sovrapprofitti che furono subito denunciati anche dalla Difesa e poi comprovati, alla fine del conflitto, da un’apposita commissione parlamentare.
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28 novembre 1915: in guerra per amor di patria o di denaro?

«Grosso industriale della città, cavaliere del lavoro, consigliere della Camera di commercio ed una delle personalità più in vista della massoneria cittadina»
Così viene descritto nell’articolo della Difesa del 28 novembre il principale arrestato dello scandalo che, negli ultimi mesi del 1915, colpì l’imprenditoria torinese accusata di aver speculato sulle forniture militari all’esercito.
Il settimanale diocesano riporta in modo succinto quanto era già comparso nella stampa quotidiana e questo sarà solo il primo dei tanti articoli in cui emergeranno episodi di guadagno spropositato sulle commesse d’armi e di materiale bellico.
Qualche mese dopo, per esempio, il 30 aprile 1916, sotto il titolo “Amor di patria che rende milioni” si dà notizia di «certi episodi sui quali è bene posare un poco l’attenzione e sui quali invece la grande stampa ha sorvolato, si può anche ben capire perché. Per esempio a Torino la Società italiana fabbricazione proiettili ha tenuto l’assemblea generale degli azionisti e il bilancio ha dato questi risultati: su lire 600 mila di capitale sociale si ebbe un utile netto di lire 574.532,42, vale a dire un interesse del 96 per cento! Altro che sottoscrivere il prestito nazionale con interesse del 5 per cento! Che cosa significa tale risultato? Una cosa sola, che i proiettili prodotti da quella società furono fatti pagare al governo 18 volte di più di quel che valevano».
La società torinese era nata nel 1910 e alla fine della guerra nei suoi due stabilimenti impegnava oltre tremila dipendenti, di cui la metà erano donne. Ma l’articolo continua parlando della Fiat, che «ha pure tenuto la sua assemblea generale nella quale fu constatato un utile netto di lire 8.052.492 su un capitale sociale di 25 milioni: vale a dire un interesse del 35 per cento netto! Che vuol dire ciò? Vuol dire che le automobili vendute al governo furono fatte pagare un terzo di più del loro valore, se non la metà. Ed il governo, cioè i contribuenti, hanno dovuto pagare e tacere».

Secondo quanto affermano gli autori del recente volume La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla prima guerra mondiale (Dissensi, pp 162, euro 13,90), Valerio Gigante, Luca Kocci e Sergio Tanzarella, la grande guerra fu la prova generale della corruzione sistemica che caratterizza lo stato italiano.
La commissione parlamentare appurò che non ci fu settore delle commesse di guerra esente: pagamenti effettuati su materiali parzialmente o per nulla consegnati, oppure effettuati due volte. Senza contare l’infima qualità dei materiali: divise confezionate con stoffe che s’impregnavano d’acqua e ghiacciavano con il freddo; scarpe che duravano al massino due mesi. In ogni comparto i costi furono ampiamente lievitati e in alcuni settori si arrivò a costi anche del 400 per cento maggiori del dovuto.

Scrivevamo

"La virtù bisogna esercitarla praticamente. Chi fa professione teorica di una virtù è certamente infetto del vizio contrario. Una novella prova di questo l’abbiamo troppo dolorosamente chiara nel fatto di alcuni che più degli altri la primavera passata gridavano a squarciagola: «Viva la patria, viva l’Italia».
Che cosa intendessero essi per patria, per Italia, ce lo dicono i numerosi arresti che avvengono quasi ogni settimana. Si tratta di tali che non hanno il minimo scrupolo di sfruttare vergognosamente il momento attuale a vantaggio della propria borsa. Essi speculano sulle dolorose necessità odierne in una maniera da mettersi al livello di ogni più bassa spia del nemico. Così a Torino la questura ha fatto una retata di pezzi grossi dell’affarismo patriottico (...) Tutti sono imputati di frodi in forniture militari. Costoro fornivano all’esercito indumenti da soldati.
Nulla si può sapere con precisione dell’ammontare esatto delle frodi commesse e sul modo in cui queste frodi venivano perpetrate. Solo si sa che alcuni dei colpiti da mandato di cattura sono fuggiti. (...) Ora non sarà inutile aggiungere che il principale arrestato è un «pezzo grosso grosso della massoneria torinese». Tale scandalo, scrive il Corriere vicentino, con il beneplacito della censura, ha assunto un carattere spiccatamente massonico. I capi massoni di Torino hanno sentito il bisogno di riunirsi subito per discutere la cosa e decidere... i salvataggi. Nelle circolari precedentemente si era taciuto lo scopo della improvvisa riunione".

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Parole chiave: forniture militari (1), grande guerra (51), prima guerra mondiale (36), armi (19)