Dicembre 1915: la preghiera negata ai nemici caduti

Adesso magari, a cento anni di distanza, può sembrare assurdo. Ma a quel tempo, nel dicembre del 1915, anche se ancora la grande guerra non aveva fatto assaggiare all’Italia tutta la sua crudezza, il sapore della ritirata e della paura, c’era chi si lamentava perché durante i funerali dei soldati italiani si pregava per tutti i caduti, anche quelli di campo avverso.
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Dicembre 1915: la preghiera negata ai nemici caduti

«Mentre con tanto slancio – borbottano i patrioti “integralisti” dalle colonne dell’Idea nazionale – adoperiamo tutte le nostre energie cercando di lenire i rigori e le sofferenze dei nostri fratelli che combattono, sarebbe folle e inumano che tali provvedimenti estendessimo anche ai soldati nemici».
Un ragionamento estremo, che l’articolista della Difesa non stenta a confutare: la misericordia divina non è contingentata e una preghiera a suffragio di un nemico caduto non potrà certo fornire agli austriaci nuove energie per combatterci.
Eppure, guardando oltre, dare onore alle salme dei caduti, specie a quelli nemici, non è cosa tanto scontata, in mezzo all’enorme carneficina che sta diventando anche per l’Italia la grande guerra.

Nei quattro anni di conflitto moriranno nei vari fronti almeno nove milioni di uomini, più del 13 per cento dei mobilitati.
La prima guerra industriale moderna inaugurò la morte di massa. Ma i congiunti, come testimoniano anche le richieste che giungevano ai cappellani militari, in pratica delegati a “tenere il conto” dei caduti, avevano bisogno almeno di una tomba in cui piangere i propri morti.
Non era però facile dare rapidamente sepoltura a tanti caduti sul campo di battaglia, aggiornare gli elenchi, riconoscere e ricomporre le salme, spesso dilaniate dalle esplosioni, recuperare gli effetti personali da restituire alle famiglie.
Dove possibile venivano usati i cimiteri civili della zona, ma più spesso furono realizzati migliaia di cimiteri improvvisati nei pressi del fronte. La maggior parte dei soldati ricevette un’affrettata sepoltura nelle fosse comuni, ma molti corpi letteralmente sparirono, sotto cumuli di fango, di rocce o di neve.

Dov'è la carità cristiana?

«In questi giorni i nostri fanno un cimitero per raccogliere cadaveri trovati nel bosco: è fatto nella forma dei tre trovati ma... hanno sepolto dentro al recinto i nostri e fuori gli austroungarici. Quanta piccineria e mancanza di carità cristiana!»

Tra tutta questa precarietà, però, spesso non venne a mancare il semplice omaggio dei commilitoni che volevano ricordare l’amico, il compagno di squadra o di branda.
Ovviamente nel caso dei corpi dei nemici l’atteggiamento era diverso. Una spia di quello che poteva succedere è descritta in una lettera inviata dal vescovo di Padova mons. Luigi Pellizzo al papa il 3 agosto 1916.
Dopo aver lamentato i vandalismi a cui si erano lasciati andare i soldati italiani sull’altopiano di Asiago conclude: «Sopra Enego, nei boschi di Marcesina, dopo la ritirata del 25 giugno, i nostri hanno trovato tre cimiteri, contornati da mura e di rete metallica con le tombe ben composte, con una croce colossale, con su un lato i loro morti e dall’altri i nomi dei nostri morti, sepolti nel medesimo cimitero, coi medesimi onori, separati dai loro. In questi giorni i nostri fanno un cimitero per raccogliere cadaveri trovati nel bosco: è fatto nella forma dei tre trovati ma... hanno sepolto dentro al recinto i nostri e fuori gli austroungarici. Quanta piccineria e mancanza di carità cristiana!».
Alle sepolture comuni di amici e nemici su un fronte lontano, quello orientale, dedica un ricordo il recente volume di Paolo Rumiz Come cavalli che dormono in piedi (Feltrinelli, pp 268, euro18,00) dedicato alla ricerca de “l’armata perduta” degli italiani che sotto l’impero furono mandati a combattere in Galizia, l’odierna Ucraina: «Voi che siete morti per la vostra terra – fa dire a uno dei suoi testimoni citando un’iscrizione di un cimitero di guerra – in questa battaglia nemici o amici durante il conflitto dormite tranquilli in questa terra di pace, siete uniti da una corona di alloro».

Scrivevamo

Evidentemente i beni che si chiedono al Cielo esso li crede così limitati come quelli che si possono dispensare in terra.
Quaggiù i soccorsi che si possono mandare alla fronte sono in numero ristretto e potrebbero restarne privi i soldati nostri ai quali dobbiamo la preferenza se noi li volessimo distribuire anche ai soldati avversari. Ma la misericordia di Dio per i defunti non teme di riuscir scarsa ai nostri se lo preghiamo di estenderla anche a coloro contro cui ci troviamo in campo (...).
Ma pensate di che odiosità sarebbe l’adottare il concetto di nazionalisti che non si contentino di desiderare e supporre più calde le preci per i morti italiani, bensì vorrebbero che i morti avversi ne fossero esclusi; che in grazia dello spirito nazionale si dovessero portare le divisioni terrene dinanzi a Dio a’ cui occhi ogni anima è, per dirla con Dante, «cittadina di una vera città» e ha, se italiana, vissuto «in Italia pellegrina» (...).
Ma allora, perché non impedite che i soldati italiani vittoriosi seppelliscano con dovuto riguardo le salme dei nemici uccisi? Perché dimenticate che, anche senza essere cristiani e contentandosi di sentimenti pagani, «oltre il rogo non vive ira nemica»?
Negli ossari dei campi della nostra indipendenza sono raccolte indistintamente le spoglie dei nostri e degli avversari, e a tutti si rende onore. Il poeta irredento Giovanni Prati lodò questa equità dicendo: «Qui fu sciolta nel sangue ogni fede. Ogni prode al suo premio volò».

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