I limiti della manifattura: «Alziamo il livello»

Un’economia da ripensare Stefano Righi, giornalista economico del Corriere della sera, riflette sui limiti del sistema manifatturiero e sulle direzioni da intraprendere per uscire dalla crisi. Distretti tra rilancio e declino: erano uno dei vanti dell’economia veneta, ma non tutti sono rimasti in piedi. Ce l’ha fatta chi ha investito in innovazione, e ricerca di nuovi mercati. Altrove, vedi il mobile di Casale di Scodosia, si contano i capannoni vuoti.

I limiti della manifattura: «Alziamo il livello»

Sospesi fra vecchie certezze e nuovi orizzonti. Anche nel Veneto che orfano delle “sue” banche cerca un’identità oltre la Grande Crisi.

Stefano Righi, 55 anni, padovano approdato al Corriere della Sera, è una delle firme del settimanale economico di via Solferino. Ha pubblicato un anno fa Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi (Guerini e Asssociati, pagine 159, euro 12,50).

Banche, finanza, mercato: siamo davvero in grado di reggere in Europa? 

Vanno considerati alcuni aspetti. Le transazioni di borsa hanno iniziato a essere regolate in euro, utilizzando la doppia indicazione valutaria, un paio d’anni prima che la lira lasciasse spazio alla moneta unica. Poi, dal 4 novembre 2015, è entrato in vigore il sistema della vigilanza bancaria unica, nell’ambito della creazione dell’Unione bancaria europea. Quanto ai mercati è altresì evidente, l’Europa è il nostro mercato domestico: anche a livello individuale molto italiani cercano e trovano lavoro fuori dai confini dell’Italia. Una realtà considerata normale dai giovani, ma se andiamo a vedere qual era la situazione anche solo negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, con gli immigrati italiani costretti in condizioni socialmente miserabili in Germania come in Belgio, pur di avere un lavoro, molto è cambiato. In meglio. La tendenza è nitida. Il problema è che oggi ci troviamo tutti in mezzo al guado, abbiamo lasciato la vecchia riva e la sponda d’arrivo è ancora lontana. Per di più il livello dell’acqua si sta alzando e la corrente del fiume aumenta.
Non è facile. La direzione è quella giusta, ma a taluni stanno venendo meno le forze. Soprattutto quando si realizza che l’Europa pensa al destino degli europei lanciando in aria una monetina.

Economia, politica, classe dirigente in senso ampio: come si fa a “contare” sul serio?

Se restiamo al rapporto con l’Europa, in una recente intervista al Corriere il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, sottolineava come gli italiani a Bruxelles siano spesso assenti, fuori dalla stanza dei bottoni. Se lo dice lui, dal suo osservatorio privilegiato, sono portato a credergli. D’altro canto pensate a come abbiamo considerato le istituzioni europee negli ultimi 25 anni: una solenne rottura di scatole, dalle quote latte fino alle banche. Non capendo che invece proprio a Bruxelles si sarebbe decisa la sorte dell’Italia del futuro. Così alle istituzioni comunitarie abbiamo spesso candidato politici bolliti localmente, che andavano in pre-pensionamento in Europa, mentre ci si concentrava su Roma, ahimè sempre più vuota e periferica.

Economia green, bio, soft, resiliente, eccetera. Un’alternativa praticabile al tramonto della manifattura? 

Non so leggere il futuro, ma mi pare chiaro che sia necessario alzare il livello. Ma farlo davvero. A Vicenza, i produttori di catename d’oro sono stati spazzati via da macchine più convenienti del lavoro umano o da lavoratori delocalizzati a più bassa retribuzione. Se il gioco si limita a una competizione di prezzo, non c’è speranza. Infatti chi è rimasto in piedi lo ha fatto in forza del valore del prodotto. Anche a Vicenza. È necessaria una rifondazione ambiziosa dei progetti produttivi italiani. Il progetto Industria 4.0 ha avuto una presentazione rivoluzionaria, ma finora si è concretizzato solo nel maxi ammortamento. Che va benissimo, specie in un momento di concreta difficoltà delle aziende. Ma l’idea era più ampia e va sviluppata. Altrimenti è solo una manovra fiscale e noi continuiamo a essere il paese delle rottamazioni, degli incentivi settoriali, delle pezze cucite sui pantaloni lisi. Sarebbe invece il caso di prendersi sul serio e di indossare un buon paio di pantaloni nuovi. Invece l’onda è diversa, le attenzioni sono distratte. L’economia guidata dalle esportazioni va benissimo, ma può ridurci a essere un paese di terzisti. È questo il disegno?
Il recente Nobel per l’economia è un segno dei tempi: lo ha vinto il bravissimo Richard Thaler, leader di una visione comportamentale dell’economia, uno dei visionari creatori dell’ideologia “Nudge”, un lavoro che è stato tradotto anche in italiano da Feltrinelli, richiamando l’idea della cosiddetta “spinta gentile”. Bene, ma qui i problemi sono così urgenti (dalla disoccupazione, al futuro industriale, dall’immigrazione alla rappresentatività politica) che non è più tempo di gentilezze.

Invece, basta guardarsi attorno e siamo circondati da leader senza leadership.
C’è una frattura tra il capo e la truppa, chiunque sia il capo e qualunque sia la truppa. A ogni livello, pubblico e privato, si registra la prevalenza del mediocre di qualità.
L’ultimo della lista in ordine di tempo è l’allenatore della Nazionale di calcio, Giampiero Ventura.

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