Da Toys a Trony, c'è la fiera di internet dietro alla crisi dei centri commerciali

In America la chiamano enfaticamente “Retail Apocalypse”, l’apocalisse del commercio, un terremoto fatto di normalizzazione dei consumi dopo gli eccessi dei primi anni Duemila, pessimismo generalizzato, contrazione dei redditi, commercio online e incapacità degli operatori tradizionali di stare al passo con un cambiamento sempre più rapido.

Da Toys a Trony, c'è la fiera di internet dietro alla crisi dei centri commerciali

E venne il commercio online che si mangiò il centro commerciale, che soppiantò il supermercato che sostituì il negozio dove per due soldi mio padre comprò, o meglio “faceva compere”. A dar retta agli esperti, l’attuale situazione del mondo del commercio assomiglia sempre più alla parodia salmodiante di una celebre canzone di Branduardi.

È di questi giorni la notizia del fallimento di Dps, la società che controlla la maggioranza del gruppo Trony e con essa circa 43 punti vendita e diverse centinaia di lavoratori
«La vera preoccupazione riguarda le prospettive future. Circa un mese fa si era parlato di un possibile acquirente per 15 punti vendita di Trony , il che avrebbe permesso di puntare al risanamento dell’intero gruppo – ha dichiarato Mirco Ceotto della Cisl all’agenzia di stampa Agi – Il fatto che fino a questo momento non sia ancora arrivata alcuna proposta concreta è motivo di grande allarme».

Il commercio online ha fatto, insomma, un’altra vittima illustre dopo la catena di negozi di giocattoli americana Toys "R" Us, 1.600 negozi nel mondo e 33 mila dipendenti nei soli Stati Uniti, e il caso ormai storico di Blockbuster con i suoi 60 milioni di soci e gli indimenticati videonoleggi con le insegne blu e gialle.

«Quei brutti cattivi di Amazon, Alibaba, Zalando, Yoox e molte altre realtà minori han deciso di vendere in rete quello che si può trovare nei negozi. In verità se si trattasse solo di un semplice competitor fisico il problema sarebbe grave ma affrontabile. Ma i grandi E-mall non si limitano a rubare clienti. Acquisiscono le loro anime - spiega Enrico Verga nella rubrica Econopoly de Il Sole 24 Ore - Facciamo un esempio. Se oggi il Mario va a comprare delle ciabatte su un E-mall, il sito (Amazon, Alibaba, Zalando, Yoox scegliete voi) non si limita ad acquisire i dati anagrafici, la mail e i dati della carta di credito del Mario. Ma, grazie all’indecisione del Mario che ha navigato su e giù per il sito, mettendo like ad altri prodotti che lo “intrigavano”, il sito costruisce un’identità del Mario. In pratica con un po’ di visite saprà tutto del Mario. Alla meglio il centro commerciale classico conosce l’identità del Mario e, se il commesso è sveglio ed è supportato da un dipartiment marketing attivo, potrà raccogliere la mail. L’intelligence dispiegata in un E-mall è tranquillamente 100 volte superiore rispetto a un negozio di un classico centro commerciale. Quindi prevedibilità delle scorte, acquisto di materie prime, offerte speciali etc. sono più facilmente pianificabili da un E-mall rispetto a un negozio tradizionale».

In America la chiamano enfaticamente “Retail Apocalypse”, l’apocalisse del commercio, un terremoto fatto di normalizzazione dei consumi dopo gli eccessi dei primi anni Duemila, pessimismo generalizzato, contrazione dei redditi, commercio online e incapacità degli operatori tradizionali di stare al passo con le sfide di un mondo che cambia troppo in fretta e senza fare sconti a chi resta indietro.

Sembrano passati secoli da quel 1991 quando il gruppo Rinascente apriva il primo negozio di tecnologia a marchio Trony: Olivetti all’epoca vendeva ancora il primo computer portatile, il mitico Quaderno, spopolavano i cd musicali e i film in videocassetta, mentre il primo iPod sarebbe arrivato solo nel 2001 e l’iPhone nel 2007. A scorrere il calendario a ritroso viene facile notare un paradosso della storia: nel 1994 uno sconosciuto trentenne di Albuquerque di nome Jeffrey Preston Bezos apriva una piccola libreria online, Cadabra.com; venticinque anni dopo quella piccola libreria ha cambiato nome in Amazon e Jeffrey si fa chiamare semplicemente Jeff, l’uomo più ricco del mondo.

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