Giovani e lavoro, tra riscatto e ricatto

Uno studio dell'Iref mostra come la precarietà ha influenzato l'approccio dei giovani alla ricerca e ai diritti dei lavoratori.

Giovani e lavoro, tra riscatto e ricatto

I millennials, i giovani nati tra il 1990 e il primo decennio del 2000, sono chiamati a fronteggiare i cambiamenti del mondo del lavoro in un periodo di crisi.
L’originalità della ricerca “Il riscatto del presente. Giovani e lavoro nell’Italia della crisi”, condotta dall’Iref e curata da Gianfranco Zucca, è nel confronto tra tre diverse tipologie di giovani: gli italiani che lavorano nel paese — gli stayers — i giovani andati all’estero — i movers — e i giovani di seconda generazione.

La precarietà del lavoro, la continua ricerca di flessibilità, la mancanza di carriere definite.
Nella ricerca un gruppo considerevole (44,9%) sostiene di non avere una carriera ma solo un lavoro, mentre per un intervistato su tre il percorso lavorativo è stata una continua progressione (32,7%). Un quinto del campione, infine, pensa di essere sulle “montagne russe”, in un continuo saliscendi professionale (20,8%).

Ci sono poi le innovazioni tecnologiche che riducono gli spazi operativi di molte figure professionali e ne trasformano altre, si pensi all’impatto di Industry 4.0. Ma ancora più problematiche sono le situazioni proposte dalla Gig-economy che diventano una pianificazione dei lavoretti, proposta da algoritmi matematici dentro piattaforme informatiche.

I giovani sentono il “ricatto” quando, come si legge nella ricerca, sono disponibili a derogare ai loro diritti per mantenere l’occupazione.
Due intervistati su tre sarebbero disposti a fare una qualche concessione: il 27,6% rinuncerebbe ai festivi, il 16,7% alle ferie, il 12,4% a una parte dello stipendio e il 10,5% ai giorni di malattia.

Solamente un terzo dei giovani intervistati sarebbe disposto a farsi licenziare piuttosto di cedere sui diritti

Le distinzioni però ci sono: la maggiore propensione alla deroga ai diritti sul lavoro si riscontra tra i giovani italiani non laureati che vivono per contro proprio (37,7%), seguono i non laureati che vivono in famiglia (30,7%).
Dall’altro lato si posizionano i movers, pochissimi dei quali presentano un’alta propensione alla rinuncia: 11,3% tra i laureati e 12,2% tra i non laureati.

Emerge quindi un punto chiaro: quando lavorano in Italia, i giovani percepiscono la loro posizione più fragile rispetto a quando si trovano all’estero.

I giovani però non sono solamente passivi. Pongono in atto delle strategie per il loro “riscatto”.
La mobilità, l’investimento in istruzione, la ricerca di una soddisfazione nel lavoro sono strategie per riscattarsi?
Non è un caso che i fattori che diversificano la collocazione lavorativa degli intervistati sono proprio il titolo di studio terziario e la mobilità territoriale.

E lo scarto si rileva proprio nel diverso atteggiamento rispetto alla “deroga”. Quella ai propri diritti è vista in prospettiva della propria crescita professionale: il 43,4% degli intervistati sarebbe disposto a lavorare molte ore più degli altri e il 41,9% a lavorare anche da casa; il 38% occuperebbe anche il proprio tempo libero.

Un duello, quello fra diritti e doveri dei lavoratori, in cui i giovani sembrano avere insomma fatto una scelta di campo, anche se magari a malincuore: si sta col dovere, i diritti verranno col tempo. Se verranno...

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Fonte: Sir