Le vacanze sono finite: Mario Draghi conclude la stagione degli stimoli all'economia

Terminano le politiche straordinarie che, in questi anni, la Bce ha messo in campo per tutelare l'economia continentale. Dal prossimo anno potremo contare solo sulle nostre forze, ne saremo capaci?

Le vacanze sono finite: Mario Draghi conclude la stagione degli stimoli all'economia

La Banca Centrale Europea di Mario Draghi smetterà di comprare titoli di stato dei paesi europei in difficoltà. Il famoso Quantitative Easing, il bazooka con cui cui il presidente Draghi è riuscito in questi anni a tenere a bada la speculazione, torna negli arsenali.

Una scelta già ampiamente attesa che, si spera, non dovrebbe cogliere i governi troppo impreparati anche perché conseguente ad un miglioramento generale dell'economia dell'Unione.

«Quanto alle misure non convenzionali di politica monetaria — scrive la Bce nel suo comunicato stampa di ieri — il Consiglio direttivo continuerà a effettuare acquisti netti nell'ambito del programma di acquisto di attività (PAA) all'attuale ritmo mensile di 30 miliardi di euro sino alla fine di settembre 2018. Il Consiglio direttivo anticipa che, dopo settembre 2018, se i dati più recenti confermeranno le prospettive di inflazione a medio termine del Consiglio direttivo, il ritmo mensile degli acquisti netti di attività sarà ridotto a 15 miliardi di euro sino alla fine di dicembre 2018 e in seguito gli acquisti netti giungeranno a termine».

Fino alla fine dell'anno, insomma, non si dovrebbero attendere eccessivi scossoni: diminuisce il ritmo degli acquisti, ma la politica rimane la stessa. Non solo ma, come scrive ancora la Banca Centrale Europea nel paragrafo successivo, l'Istituto «intende proseguire la propria politica di reinvestimento del capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del PAA per un prolungato periodo di tempo dopo la conclusione degli acquisti netti di attività e in ogni caso finché sarà necessario per mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario».

Parola d'ordine: stabilità. La Bce, per quanto ritenga ormai sulla via della conclusione la fase più acuta della crisi economica e quindi sia propensa a dismettere gli strumenti più risoluti d'intervento, non vuole dare bruschi scossoni all'economia continentale rimettendo in discussione posizioni consolidate sul debito dei singoli stati.

Il terzo annuncio della giornata riguarda i tassi d'interesse, che rimarranno ancorati a cifre prossime allo zero ancora per qualche tempo. «Il Consiglio direttivo — conclude il comunicato della Bce — si attende che i tassi di interesse di riferimento si mantengano su livelli pari a quelli attuali almeno fino all'estate del 2019 e in ogni caso finché sarà necessario per assicurare che l’evoluzione dell’inflazione resti in linea con le attuali aspettative di un profilo di aggiustamento durevole».

Cosa cambia per l'Italia?

Cambia tutto, per un paese fragile come l'Italia la politica di Mario Draghi ha rappresentato un paracadute quantomai provvidenziale, ma dal prossimo anno non sapremo se e quando questo paracadute potrà tornare ad aprirsi.

Il debito pubblico italiano — che attualmente si attesta attorno al 130% del prodotto interno lordo nazionale — tornerà a confrontarsi direttamente con il mercato, senza più la mediazione e la difesa di un compratore benevolo come la Bce.

I tempi e i modi di questo confronto sono tutti da verificare, ma dovremo rassegnarci a non avere più una sorta di calmiere sui rendimenti del debito pubblico. Lo spread, che tutti abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, è sempre il termometro più puntuale di questo malessere e per tenerlo a bada servono stabilità, coerenza e basso profilo.

Senza un compratore stabile e disinteressato, sul debito pubblico italiano è inevitabile aumentino il peso della speculazione e, soprattutto, delle incertezze politiche.

Il salvagente europeo è valso, secondo le stime di Intesa San Paolo, circa 356 miliardi di euro con acquisti medi fra i 9 e i 12 miliardi di euro mensili nei momenti più bui della crisi, e gli attuali 3,5. Ogni giorno, insomma, lo Stato italiano sa che, mediamente, 200 milioni di euro del suo debito verranno puntualmente acquistati dalla Bce, a prescindere dall'andamento del titolo.

Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso, avrebbero detto i nostri nonni: se non abbiamo saputo rimettere in carreggiata i conti del nostro paese — comprese le spese per gli interessi sul debito, che pesano per decine di miliardi — e soprattutto non sapremo consolidare un ciclo virtuoso di ripresa economica e lungimirante stabilità politica, avremo sprecato l'aiuto che l'Europa ci ha dato in questi anni. Un rischio elevato, una cambiale in scadenza molto prima di quanto possiamo immaginare.

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