In viaggio da Padova all'America, a scuola di integrazione didattica

Un maestro padovano dalla Stanga multietnica agli States di Donald Trump, dove più del 50 per cento dei bambini sotto i sei anni non è figlio di “bianchi” e sono quasi 5 milioni i bambini presenti nelle scuole di origine non statunitense da almeno due generazioni. Un cambiamento a cui tenta di dare risposte l’”educazione familiare”: genitori e figli a scuola insieme, con ottimi risultati.

In viaggio da Padova all'America, a scuola di integrazione didattica

Dalla Stanga multietnica agli States di Donald Trump. Sempre “a scuola” di integrazione didattica.
Fabio Rocco, 42 anni, è maestro di scuola primaria dal 1999 e da oltre dieci anni (insieme a Roberta Scalone) promuove l’innovazione all’insegna del melting pot fuori e dentro le aule della Giovanni XXIII a ridosso di via Anelli.

Con Luca Agostinetto, docente di pedagogia interculturale al Bo, Sabina Banfi, responsabile dell’ufficio politiche educative del comune di Milano, Giulia Montefiore, responsabile rapporti istituzionali della English playtime di Roma e Marilena Novellino, fiduciaria della dirigente all’elementare Pisacane di Roma, è reduce da un vero e proprio tour con International visit leadership program fra scuole, università e ong degliStati Uniti.

«Ci sono circa 12 milioni di clandestini e altrettanti regolari, ma tutti i nati sul territorio americano ne diventano cittadini. Oggi la gran parte del flusso migratorio proviene dall’Asia e dal Sudamerica. Spesso le situazioni di conflitto portano le persone alla richiesta di entrare nelpaese come rifugiati. Gli Usa effettuano tutti i controlli a monte, quindi quando un profugo mette piede sul suolo americano la sua richiesta è già stata accolta, minori compresi. Questo non significa che i migranti non arrivino clandestinamente. Se ciò accade e vengono scoperti sono deportati al confine, anche se minori», premette Fabio Rocco, ricordando che Washington non ha mai ratificato la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia.

La realtà oltre Oceano si riassume con un paio di evidenze

«Più del 50 per cento dei bambini sotto i sei anni non è figlio di “bianchi” e di questo passo sarà così anche per gli adulti nel 2050. Il tema del confronto politico è la paura dell'America profonda di perdere la propria supremazia numerica bianca. D’altro canto, istruzione e sanità che in Italia sono diritti acquisiti non sono citati in nessun articolo della Costituzione americana».

«Di conseguenza, i programmi che la spesa per il sistema educativo sono definite dai singoli stati in modo molto diversificato. Il governo federale contribuisce solo dagli anni ‘90 a circa il 10 per cento del budget nazionale per l’educazione, concentrando la maggior parte dei propri finanziamenti sulle aree a rischio e promuovendo le Charter school».

Si tratta di strutture educative pubbliche dotate di autonomia didattica e finanziaria.
Nate come esperienze sperimentali, spesso realizzano programmi per studenti migranti. E attingono ai fondi delle grandi aziende che investono negli edifici scolastici, ma possono riutilizzare i soldi per scopi commerciali una volta cessata l’attività di istruzione: business as usual.

E l’integrazione come funziona? Qual è l’accesso alla lingua?
«Le sperimentazioni più significative per chi deve imparare l’inglese si sono diffuse nelle scuole pubbliche di tutti gli Usa. Sono quasi 5 milioni i bambini presenti nelle scuole di origine non statunitense da almeno due generazioni. Spesso la lingua della comunità originaria resta la lingua madre anche per la seconda o terza generazione–risponde Fabio Rocco –Gli interventi federali legati all'acquisizione delle competenze linguistiche hanno portato dall’8 al 38 per cento la percentuale di chi supera i test di lingua, anche se sono solo il 62 per cento quelli che si diplomano rispetto all’82 della media nazionale. Dare a tutti le stesse opportunità a prescindere dalle condizioni di partenza è difficile, perché metà dei minori migranti vive sotto la soglia di povertà».

In valigia ha riportato a Padova anche un’altra lezione

«Per colmare le difficoltà a dialogare con le famiglie e aiutare i genitori a trovare lavoro è nata l'educazione familiare: genitori e figli vanno a scuola insieme, alla materna e nei primi anni della primaria, con ottimi risultati per tutti».

Fabio Rocco conclude: «Negli Usa si è affermata l’idea che portare fuori i bambini da una classe per poche ore al giorno e cercare di insegnare inglese sia inutile. L’integrazione in classe e la mediazione linguistica sono responsabilità collettive di docenti, dirigenti, genitori, non solo dei mediatori. Così sono nate molte sperimentazioni di bilinguismo: si affianca all’inglese la lingua prevalente della comunità territoriale circostante la scuola. In altri casi, si realizzano corsi intensivi rivolti ai neo-arrivati per favorirne un più fluido ingresso in classe. Oppure, alle superiori, gli alunni non anglofoni fanno lezione in classi apposite con unità di apprendimento facilitate e si affiancano ai neo inseriti dei coetanei con maggiori competenze linguistiche, mentre gli insegnanti accompagnano semplicemente il percorso dei ragazzi, intervenendo meno possibile».

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