Scuola: Renzi ci mette la faccia, non ancora i soldi

Una consultazione pubblica nella speranza che docenti e famiglie vogliano dare il loro contributo alla rivoluzione annunciata, da realizzarsi nel 2015. Alcuni pilastri: scomparsa dei supplenti e del precariato storico con l’assunzione, fra un anno, di quasi 150mila docenti; assunzione di abilitati solo attraverso i concorsi; scatti di stipendi per merito. Il grande interrogativo delle risorse, «anche da privati».

Scuola: Renzi ci mette la faccia, non ancora i soldi

Una consultazione, fino a metà novembre, «trasparente, pubblica, diffusa, online e offline» per realizzare «la buona scuola». Poi in marcia, a ritmi serrati, per rendere operativa la riforma dal prossimo anno scolastico. Sono questi i tempi scanditi dal governo per la riforma della scuola, che ha visto questa mattina la pubblicazione su internet del rapporto che, in 136 pagine, spiega il percorso normativo previsto dall’esecutivo, accompagnato dal videomessaggio nel quale il presidente del consiglio, Matteo Renzi, annuncia per l’ennesima volta la volontà di «cambiare il paese» e una riforma che non sia come quelle del passato, anzi, non sia una riforma ma «un patto educativo», per sconfiggere la «supplentite» e premiare il merito.
 
150 mila nuovi assunti nel 2015
Così, dopo il rinvio del tema dal consiglio dei ministri di venerdì scorso, ora il rapporto intende ripartire «da chi insegna», dai docenti per «trasformarli in forza propulsiva di cambiamento».
«Siamo pronti a scommettere su di voi. A farvi entrare nella partita a pieno titolo, e a farvi entrare subito. Ma a un patto: che da domani ci aiutiate a trasformare la scuola, con coraggio», promette con linguaggio "rendiamo".
È giù i numeri di un impegno tanto oneroso quanto allettante per chi da anni fa i conti con precariato e graduatorie: l’assunzione, a settembre 2015, di quasi 150 mila docenti, ovvero «tutti i precari storici delle graduatorie ad esaurimento, così come tutti i vincitori e gli idonei dell’ultimo concorso».
Per il futuro, invece, «un nuovo concorso per permettere ad altri 40 mila abilitati all’insegnamento di entrare in carriera, sostituendo via via – tra il 2016 e il 2019 – i colleghi che andranno in pensione e rinverdendo così la platea degli insegnanti», unitamente alla bocciatura solenne delle graduatorie per accedere alla professione docente, «errore grave da non ripetere».
 
Carriere per merito
L’intento è superare il divario tra organico di diritto – i circa 600 mila insegnanti oggi di ruolo - e organico di fatto – «contingente "parallelo" di docenti che soddisfa il fabbisogno concreto e che fotografa la situazione reale della scuola» – ma anche dare una risposta alle «migliaia di persone che lo stato, nonostante abbia negli anni riconosciuto che debbano essere assunte stabilmente nella scuola, tiene in sospeso». Un’immissione di forze nuove cui s’accompagna «un modo nuovo di fare carriera all’interno della scuola: introducendo il criterio del merito per l’avanzamento e per la definizione degli scatti stipendiali, attraverso un sistema in cui la retribuzione valorizzi l’impegno di ogni insegnante e il suo contributo al miglioramento della propria scuola».
 
Dove sono le risorse?
Al di là degli annunci, resta al momento aperto – e non troverà certamente risposta nella consultazione popolare – il nodo delle risorse.
Al riguardo, il testo prevede risorse pubbliche («che devono essere certe, programmate, stabili nel tempo e monitorate dai cittadini») e private, promettendo di «incoraggiare anche fiscalmente i contributi di tutti coloro – cittadini, associazioni, imprese – che credono che la scuola sia un investimento sul futuro».
Inoltre, «ogni 3 anni 2 prof su 3 avranno in busta paga 60 euro netti al mese in più grazie a una carriera che premierà qualità del lavoro in classe, formazione e contributo al miglioramento della scuola».
Ma già nella prossima legge di stabilità – riconosce il governo – dovrà «essere previsto il finanziamento del piano straordinario di assunzioni», mentre per dare corpo alla riforma entro l’anno scolastico 2015/2016 lo strumento previsto è quello del decreto legge, al quale si arriverà dopo i due mesi di «ampio e approfondito dibattito con tutto il mondo della scuola, con tutte le forze politiche, sociali, economiche e produttive e con tutti i cittadini», lasciando però ai margini il parlamento.

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Fonte: Sir