Aiuti agli indigenti: la soluzione dalla social card?

Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali: «Non si tratta di un mero sostegno economico (fino a 400 euro al mese per una famiglia di 5 persone), ma di un progetto ampio di inclusione sociale». Il vecchio fondo per gli aiuti alimentari (100 milioni europei) sostituito da un fondo nazionale (10 milioni) e da un fondo europeo degli aiuti agli indigenti (stimato in 40/50 milioni). Pesante comunque la sforbiciata sulle risorse disponibili.

Aiuti agli indigenti: la soluzione dalla social card?

Al quinto anno di crisi, le Caritas diocesane segnalano, da qualche mese a questa parte, una situazione sempre più allarmante: i soldi per aiutare le persone indigenti sono finiti e tre quarti delle strutture non riescono più a rispondere alle crescenti richieste di aiuto. Tra i motivi, oltre a una prevista riduzione di fondi sia italiani sia europei (da 100 a circa 60 milioni), anche il passaggio di Agea (Agenzia erogazioni in agricoltura) dal ministero delle Politiche agricole a quello del Lavoro e Politiche sociali, con incagli di mesi nella distribuzione delle risorse per l’acquisto di generi alimentari.
Per capire i meccanismi in gioco a seguito di questi cambiamenti, il Sir ha intervistato Luigi Bobba, già presidente nazionale Acli e oggi sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali.

Tra suicidi di piccoli imprenditori, disperazione di lavoratori che perdono il posto, giovani in vana attesa di una assunzione, che opinione si è fatto di questa lunga crisi economica?
«Siamo consapevoli di una situazione che si va facendo sempre più difficile al prolungarsi della crisi. Lo testimoniano le lettere e le sollecitazioni che riceviamo dai cittadini più fragili, ma lo dicono soprattutto i dati. La grave deprivazione materiale – un indicatore europeo che individua le famiglie in cui mancano beni e servizi essenziali, come per esempio poter riscaldare adeguatamente la casa o poter mangiare carne o pesce almeno un giorno sì e uno no – è raddoppiato in Italia in soli due anni. Da meno del 7 per cento del 2010 a più del 14 nel 2012, ultimo anno disponibile. Per le famiglie con figli la percentuale è ancora più alta, del 15,5. Tra i vecchi Quindici, solo in Grecia ci sono tassi di deprivazione superiori».

La Caritas Italiana ha chiesto di sbloccare quanto prima i fondi, ma si parla di soluzione entro l’autunno. Che possibilità ci sono che i tempi si accorcino?
«Non ci sono fondi "bloccati", né la ragione del blocco è dovuta a cause nazionali di passaggi di competenze tra ministeri. Si sono diffuse notizie molto imprecise sulle risorse per i cosiddetti "indigenti". C’è un fondo nazionale, a cui la legge di stabilità 2014 ha destinato 10 milioni di euro, la cui responsabilità è del Ministero dell’agricoltura, che ci risulta si stia attivando per rendere disponibili queste risorse il prima possibile. Poi c’è il Fondo europeo degli aiuti agli indigenti (Fead). Si tratta di due strumenti – uno nazionale, l’altro comunitario – che sostituiscono il vecchio fondo di aiuti alimentari che agiva, un po’ impropriamente, sotto la politica agricola comune europea».

Negli anni scorsi le strutture assistenziali facevano affidamento su un fondo da 100 milioni, costituito in sede europea e gestito direttamente in Italia dalle Politiche agricole. Oltre alla riduzione quantitativa, il problema è anche tecnico. Perché questa modifica?
«È utile riassumere brevemente la vicenda: la Germania ha sollevato qualche anno fa la questione della legittimità del Fondo rispetto all’ordinamento comunitario davanti alla Corte di giustizia europea, che le ha dato ragione chiudendo nel 2013 questa esperienza avviata negli anni ‘80. La Commissione ha allora proposto un nuovo fondo a valere sulle risorse dei fondi strutturali (il fondo sociale europeo e il Fesr), rispettoso delle competenze nazionali in materia di politiche sociali, fondo che l’Italia ha fortemente sostenuto, ma a cui diversi paesi si sono per lungo tempo opposti ritenendo la distribuzione di beni materiali agli indigenti estranea agli obiettivi dei fondi comunitari. Lo stallo nei negoziati che si è generato ha fatto sì che il regolamento finale del nuovo fondo venisse pubblicato solo il 12 marzo scorso».

Quindi c’è anche una responsabilità comunitaria per questi ritardi?
«Sono in questo momento in corso d’adozione da parte della Commissione i regolamenti attuativi e poi sarà finalmente possibile presentare i Programmi operativi nazionali relativi ai prossimi sette anni. In questi ritardi non c’è alcuna responsabilità nazionale, anzi noi abbiamo avviato il tavolo di partenariato per una elaborazione partecipata del Programma mesi prima che venisse pubblicato il regolamento e vogliamo essere tra i primi a presentare formalmente il Programma, appena sarà possibile, in maniera da poter procedere con le anticipazioni e scongiurare interruzioni nella distribuzione. Peraltro non si prevede alcun cambio di gestione rispetto al vecchio fondo per questa parte del Programma».

C’è qualche strada alternativa percorribile per aiutare gli indigenti?
«La via maestra per la lotta alla povertà è quella di dotarsi di strumenti universali di sostegno al reddito per chi venga a trovarsi in una condizione di povertà assoluta. L’Italia è uno dei pochi paesi europei senza strumenti di questo tipo. È stato avviato però nell’ultimo anno un importante percorso in questa direzione con la sperimentazione della "nuova" social card, poi ribattezzata "sostegno per l’inclusione attiva". Non si tratta di un mero sostegno economico (fino a 400 euro al mese per una famiglia di 5 persone), ma di un progetto ampio di inclusione sociale, per il momento limitato alle sole famiglie con figli, ma che potrebbe diventare uno strumento universale di protezione sociale della povertà. La sperimentazione è partita nelle 12 città più grandi del paese, ma nel corso dell’anno sarà estesa al resto d’Italia. Il suo successo dipenderà anche da quanto a livello locale le amministrazioni comunali saranno in grado di mobilitare tutte le risorse della comunità e soprattutto con il preziosissimo lavoro svolto dal terzo settore per dare o ridare gli strumenti alle persone e famiglie più fragili per affrancarsi dalla loro condizione».

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Fonte: Sir