Casa dolce Casa. Così ha funzionato il progetto "housing first" per 16 senza dimora

Tanti gli ingredienti “generativi” del progetto che si rifà al modello di housing first: parrocchie protagoniste, la casa come punto di partenza, il coinvolgimento di una rete di soggetti del territorio... Tutto per accompagnare i senza dimora alla normalità

Casa dolce Casa. Così ha funzionato il progetto "housing first" per 16 senza dimora
«La comunità parrocchiale è stata il vero protagonista di questo progetto, perché si è calato proprio all’interno delle comunità e senza la comunità non sarebbe esistito».

Poche righe, contenute nella relazione conclusiva, per dire il cuore di “Casa dolce casa. Dal dormitorio all’appartamento”, progetto di accoglienza di persone senza dimora, che prevedeva una forte integrazione tra servizi abitativi, sanitari, sociali e occupazionali per garantire un alloggio stabile e duraturo a persone in condizioni abitative, sociali, sanitarie e relazionali estremamente problematiche.

Tre le comunità parrocchiali della diocesi di Padova – Carmine, San Bellino e Santissima Trinità – coinvolte in questo progetto triennale, finanziato con i fondi dell’8 per mille, che ha potenziato il servizio di accoglienza che la Caritas diocesana da molti anni offre ai cittadini senza dimora maschi.

“Casa dolce casa” ha previsto l’apertura di quattro appartamenti e creato un’equipe multiprofessionale per la gestione delle situazioni specifiche di ciascuna persona accolta.

«Il progetto – spiegano i promotori – aveva l’obiettivo di passare dal modello tradizionale, nel quale la persona è concepita recettore passivo degli aiuti materiali forniti dal territorio, al modello “housing first”, dove la persona viene messa nella possibilità di disporre subito di una casa e quindi di trovarsi nella condizione di non usufruire più di tutti quei servizi che la caratterizzano come persone senza dimora».

Nel modello “housing first” l’abitazione non rappresenta il punto di arrivo di un percorso, ma il punto di partenza, affinché in situazione di sicurezza e di benessere si possa attivare tutto quanto è necessario perché la persona goda di un accompagnamento continuativo in termini progettuali. L’originalità del progetto – consolidato in numerosi paesi europei – può essere riassunta nello slogan “la casa subito”. «La casa – continuano i promotori – per poter iniziare un percorso insieme».

Tre le comunità parrocchiali coinvolte, dicevamo. Numerosi i volontari che si sono messi in gioco dentro a questa “esperienza relazionale”. Sedici gli uomini senza dimora ospitati e accompagnati perché potessero crescere in responsabilità, fiducia e stima di sé. Come Alessandro (nome di fantasia), 50 anni, che ha sempre lavorato come artigiano, ma in seguito alla crisi economica ha perso il lavoro. Dopo varie vicissitudini, tra cui il carcere e una malattia cronica, si ritrova per strada. Inserito in uno degli appartamenti del progetto “Casa dolce casa”, Alessandro si rimette in fretta. Si rende disponibile per piccoli lavori, anche gratuitamente, verso altre persone disagiate. Poi trova lui un lavoro stabile a tempo indeterminato, che gli garantisce una sistemazione abitativa autonoma.

“Casa dolce casa” ha coinvolto, secondo lo stile proprio di Caritas, una rete di soggetti che – insieme, altra parola chiave del progetto – si prendono cura secondo il loro specifico dei soggetti svantaggiati. Accanto alle parrocchie e ai loro volontari, sono state attivate le risorse di realtà come Gruppo R e Ado-Artigianato di oggi (per l’attivazione di laboratori occupazionali) o altri soggetti (per borse lavoro e/o voucher). Costante il confronto con servizi sociali, Ulss, Serd...

Tanti gli ingredienti “generativi” di questo progetto: comunità parrocchiali protagoniste, casa come punto di partenza, rete di accompagnamento... Ma c’è anche dell’altro: gli ospiti accolti negli appartamenti sono stati chiamati a restituire la gratuità dell’accoglienza rendendosi disponibili con piccole attività in parrocchia, oltre che contribuendo alla gestione dell’appartamento. Hanno dato una mano durante le sagre, aperto e chiuso i campi sportivi parrocchiali, effettuato le pulizie, tagliato l’erba... «Il tutto nella normalità, come in famiglia, condividendo eventi positivi e negativi, risorse e compiti. Ricevendo e restituendo, gratuitamente».

P.P.

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