Da Ventimiglia a Bolzano, ecco l’estate calda dei confini italiani

Sono ancora lì. Accampati sugli scogli di Ventimiglia, a una manciata di metri dal confine francese presidiato da uno squadrone di gendarmi, una cinquantina di giovani uomini di origine africana ha smesso di fare notizia, ma non è arretrata di un palmo. E lo stesso vale per tutti quei gruppi di disperati che hanno raggiunto l’Italia come un miraggio, per quanto temporaneo, e ora si assiepano nelle stazioni di Milano e Verona aspettando i treni diretti in Germania.

Da Ventimiglia a Bolzano, ecco l’estate calda dei confini italiani

Due esempi che descrivono perfettamente come i luoghi veramente caldi in questa estate italiana siano in realtà i confini
I migranti che arrivano e attraversano l’Italia per la maggior parte dei cittadini non sono altro che numeri e affrettate definizioni («profughi», «extracomunitari», qualche volta si arriva al più complesso «richiedenti asilo»).
È ai confini, e nelle aree immediatamente vicine a caserme, vecchi alberghi e tendopoli dove vengono stipate, che queste persone acquistano un aspetto, un volto, per i volontari che si spendono in prima persona anche una storia.

E dall’Italia, negli ultimi giorni, il problema si è trasferito in parte anche in Francia, a Calais, dove in 47 mila dall’inizio dell’anno hanno tentato di passare in Inghilterra
Nel 2014, stando ai dati della Commissione europea, sono state ben 600 mila le domande di asilo presentate in tutta Europa. Un record.
Nel 72 per cento dei casi però sono stati solo cinque paesi membri dell’Unione a occuparsene, tra cui naturalmente anche l’Italia.
Il 55 per cento di queste domande sono state respinte, ma solo il 40 per cento dei rimpatri è stato effettivamente eseguito.

Questo significa che su dieci migranti che non hanno il diritto di rimanere in Europa, sei continuano a vivere nelle nostre città
«Si tratta di dati che ci fanno comprendere come il fenomeno dei flussi migratori debba essere affrontato in ambito continentale – è il pensiero di Marco Mascia, docente di relazioni internazionali e sistema politico dell’Unione europea all’università di Padova – ma in questo momento l’Unione europea non è in grado di farlo».

La ragione, spiega il professore, sta nelle pieghe dello stesso Trattato di Lisbona, che pure fonda l’Unione sul rispetto della dignità umana, sui diritti della persona
«La politica comune in termini di diritto di asilo e immigrazioni così com’è espressa all’articolo 79 non è mai stata sviluppata. Anzi, il comma 5 riconosce agli stati membri la facoltà di decidere i volumi di cittadini di paesi terzi in ingresso. Le regole del gioco dunque le stabiliscono i singoli paesi».
Con il risultato che quanto osserviamo all’interno dei confini nazionali, con comuni e regioni che si rifiutano di accogliere, avviene su scala più ampia anche in Europa.

Ma qual è la soluzione?
«Occorre rivedere il concetto di cittadinanza europea. Oggi si è cittadini europei se cittadini di uno stato membro. Tutti gli altri sono esclusi. Se anche la cittadinanza fosse unica, esattamente come lo è la moneta, allora si potrebbe trasferirla alla persona, che è titolare di tutti i diritti previsti anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue».

Prima di tutto però è fondamentale conoscere le cause delle migrazioni: «Per risolvere il problema alla radice occorre sapere che cosa sta accadendo in Siria, Sud Sudan, Eritrea, Somalia, ecc. Questo ci fa comprendere che o si crea un nuovo ordine mondiale più giusto, più equo, più solidale, oppure assisteremo a un peggioramento ulteriore della situazione. E in tutto questo l’Europa è debole perché è divisa, e lo stesso vale per l’Organizzazione delle nazioni unite, un organismo che è solo ciò che i paesi membri più importanti gli permettono di essere».

Un’Europa nel guado, insomma
Da una parte una politica comune anche in economia e negli affari esteri (com’è già in agricoltura), dall’altra lo scioglimento dell’Unione e il ritorno all’immediato dopo guerra.
«Basterebbero i settant’anni senza guerre per comprendere l’importanza dell’integrazione europea – conclude Mascia – Ma per recuperare lo spirito giusto occorre una leadership forte capace di compiere scelte importanti come nel 1990 Mitterand, Kohl, Delors furono capaci di scegliere l’euro, l’integrazione della Germania e poi l’allargamento dei paesi ex sovietici. E poi servono politiche coerenti con i trattati. Altrimenti casi come quello greco in cui l’Europa sceglie un’austerità che porta alla violazione dei diritti della persona si ripeteranno e finiranno per portare alla disintegrazione della casa comune europea».

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