Dopo la laurea, l'ospedale in Africa

La storia di Alberto Tredese, medico: come regalo di laurea non ha chiesto soldi né regali, ma offerte per acquistare medicine e presidi sanitari da portare all'ospedale di Arusha.

Dopo la laurea, l'ospedale in Africa

Per molti è normale, dopo i sacrifici per la tesi di laurea, regalarsi o farsi regalare un viaggio. Quello che ha scelto per sé Alberto Tredese, ventiseienne di Rubano, è molto particolare: non un giro coast to coast in America, non un soggiorno ai Caraibi o un più popolare Interrail in Europa, ma oltre cinque settimane di volontariato in Africa.

La scorsa estate infatti Alberto – che tra le altre cose è flautista, centroboa della pallanuoto Piove di Sacco in serie B, volontario della Croce Rossa e infaticabile animatore Acr – si è laureato in medicina; già da febbraio però, una volta saputa la data per la discussione della tesi, ha iniziato a organizzare il suo viaggio. «Ho passato praticamente una notte al computer, cercando quello che faceva per me – racconta Alberto – e alla fine ho trovato una società internazionale che organizza progetti in tutto il mondo». Una scelta controcorrente, ma dettata anche dalla curiosità: «Volevo soprattutto uscire dalla mia comfort zone, vedere il mondo là fuori com’è veramente. Senza troppe aspettative, senza pretendere di fare l’eroe, di cambiare la vita degli altri, ma soprattutto per cambiare me stesso».

E così, dopo un rapido esame, alla fine la scelta è caduta sull’ospedale St. Elizabeth ad Arusha, Tanzania. Qui il neolaureato ha iniziato a lavorare come anestesista in sala operatoria: «Il personale mi ha subito accolto e dato fiducia: ho imparato tantissimo». Anche a lavorare in condizioni molto diverse da quelle a cui siamo abituati: «Per un’anestesia spinale avevo a disposizione a malapena l’anestetico, mentre in Italia di solito siamo abituati a somministrare una decina di farmaci tra calmanti e antibiotici. Poi ad esempio non si trovano garze in confezioni sterili: ogni giorno assieme agli altri le ritagliavamo da un rotolo e poi le sterilizzavamo con l’acqua bollente». Una scuola in cui si può imparare tanto: «Pur nella scarsità delle risorse impari a dare un servizio dignitoso, a fare letteralmente miracoli con i pochi mezzi a disposizione».

Un’esperienza impressionante e coinvolgente: «Mi hanno subito colpito l’ospitalità della popolazione, e poi i bambini, dappertutto e bellissimi. Soprattutto però è impressionante la forza e la tenacia delle donne: sempre al lavoro o in movimento, magari con un secchio pieno d’acqua in testa e un bambino attaccato alla schiena. Femminili e allo stesso tempo incredibilmente resistenti alla fatica e al dolore».

Durante il suo soggiorno il giovane medico ha anche avuto modo di girare per il paese, evitando accuratamente i luoghi turistici come Zanzibar e preferendo i piccoli villaggi, dove si recava accompagnato da una guida. Per la sistemazione ad Arusha invece Tredese ha condiviso un appartamento con altri ragazzi impegnati in vari progetti di cooperazione: «Tra noi si è subito instaurato un clima bellissimo; eravamo persone da tutto il mondo: medici, ingegneri ed educatori, ma anche muratori ed operai venuti semplicemente per dare una mano».

La Tanzania infatti, come molti altri paesi africani, è un paese giovanissimo, con un’età media intorno ai 17 anni (in Italia siamo oltre i 44), ma con un’assoluta carenza di personale specializzato nei più diversi ambiti: «Hanno una grande necessità di tecnici, e soprattutto di essere formati. Se qualcuno fosse interessato credetemi: c’è un posto dove c’è bisogno di voi».

Alberto non ha portato con sé soltanto le sue competenze. Durante la festa di laurea infatti ha raccolto circa 5 mila euro da parenti e amici; una vera benedizione per l’ospedale, che vive solo grazie alle offerte private: «Prima ho aspettato un paio di settimane per vedere quali erano le esigenze, poi con il primario e lo staff ci siamo seduti a un tavolo per decidere come spenderli». Quindi Alberto è andato direttamente con i medici dell’ospedale a fare gli acquisti, tutti rigorosamente documentati: antibiotici, test per la sifilide, glucometri, pulsossimetri, fluidi da infusione, contenitori per campioni biologici, reagenti per il laboratorio, antidolorifici e test per le urine. È stato inoltre acquistato un aspiratore per la sala operatoria: fino ad allora ci si doveva arrangiare con una pompetta a mano: «Vi posso assicurare che quel giorno siamo stati in tanti a tirare un bel sospiro di sollievo: di tutto questo c’era una necessità incredibile – racconta il ragazzo – Acquistando in loco, inoltre, abbiamo dato anche una mano all'economia di queste comunità».

Oggi Tredese è tornato in Italia e sta preparando il tirocinio e l’esame di stato per l’ammissione all’ordine dei medici. L’emozione di quell’esperienza però non si è ancora spenta: «Dopo pochi giorni mi manca già la terra rossa sotto i piedi e soprattutto l’ospitalità della gente, i bambini che ti salgono in braccio per toccarti i capelli perché sono lisci, “strani”». Una cosa è certa: «Ho capito che tornerò. Per me l’Africa non è un discorso concluso».

Daniele Mont D’Arpizio

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