In Italia 290 social street, «per riappropriarsi dei beni comuni»

A pochi giorni dal primo compleanno della social street di via Fondazza a Bologna, apripista nel mondo, l'ideatore Federico Bastiani traccia un bilancio. Oggi, solo in Italia, le social street coinvolgono più di 15 mila cittadini.

In Italia 290 social street, «per riappropriarsi dei beni comuni»

Dopo i primi 11 mesi di vita, sono 290 le strade in Italia che hanno aderito alla filosofia social street, più di 15 mila le persone coinvolte. E il fenomeno si sta espandendo all’estero: in Portogallo sono già una ventina, ce n’è una in Nuova Zelanda, una in Croazia e una in Brasile. Niente male per un progetto nato da un papà della bolognese via Fondazza alla ricerca di amichetti per fare compagnia al figlio di due anni e, in pochissimo tempo, trasformatosi in esperimento globale. Un gruppo su Facebook, decine e decine di estimatori. Tanto che, solo pochi giorni fa, il comune di Bologna, chiamato a ridisegnare la mobilità, ha chiesto suggerimenti alle social street cittadine: «L’amministrazione non può non tenere conto dei movimenti spontanei che stanno nascendo e che possono contribuire attivamente, con proposte concrete, che arrivano dalla loro esperienza di tutti i giorni, a migliorarne la vivibilità», ha commentato l’assessore comunale alla mobilità. 

Grande la soddisfazione di Federico Bastiani, la mente di tutta l’iniziativa, nata per gioco lo scorso settembre proprio in via Fondazza («una strada nota, dove viveva il pittore Giorgio Morandi, dove è ambientato il celebre romanzo di John Grisham The Broker, che oggi è diventata ancora più nota come prima social street del mondo»), che scrive sul suo blog www.centodieci.it/post-autori/federico-bastiani/: «Non avrei mai immaginato che il social street nel giro di pochi mesi, diventasse virale a livello mondiale e caso di studio scientifico da parte di molte università», commenta. E alle prime interazioni sul social network sono seguiti gli incontri nella piazza vicino, e il gruppo è diventato luogo prediletto per lo scambio di aiuti e consigli. «Nelle varie strade d’Italia stanno nascendo progetti per riappropriarsi dei beni comuni, si iniziano a creare task force per gestire spazi pubblici spesso abbandonati al degrado urbano, piantare girasoli e palme nelle aiuole incolte, auto-organizzare la pulizia delle strade, costruire librerie di strada o più semplicemente organizzare gruppo trekking», spiega.

Federico Bastiani sottolinea come la conditio sine qua non delle social street è la totale assenza di interessi economici, politici e religiosi, a favore, invece, del semplice desiderio di socializzare (un «acceleratore di fiducia», secondo la sua definizione): «L’obiettivo è costruire relazioni sulla base del vicinato, non creare business o avere visibilità – specifica Bastiani – Chi partecipa vuole sentirsi parte di una comunità, e gli interessi economici sono lasciati fuori. Il motore di tutto è l’economia del dono: piccoli gesti quotidiani che a te non costano nulla rafforzano quelli che i sociologi chiamano beni relazionali». Il papà dell’idea ricorda come le social street siano un "investimento" sul lungo periodo: «Magari sul breve in cambio dell’impegno non si ha nulla, ma anche il solo sentirsi realmente parte di una comunità reale e non virtuale è un forte valore aggiunto non misurabile economicamente. Chi apre una social street deve sapere che sarà un processo lungo e che i risultati potrebbero arrivare dopo molto tempo, ma non ci devono essere pressioni né aspettative: non stiamo parlando di un’azienda che deve chiudere in attivo».

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)