Volontà di vivere: il tumore al seno, una battaglia vinta insieme

Il lavoro con le malate oncologiche, e i loro familiari, non è mai abbastanza, ma l'associazione Volontà di vivere non si ferma mai nella convinzione che il cancro si vinca anche insieme, con l'aiuto di chi ci è già passato. Lo sanno bene le 40 volontarie dell'associazione padovana Volontà di vivere.

Volontà di vivere: il tumore al seno, una battaglia vinta insieme

Quando la malattia non solo s'insinua nel corpo, ma anche nella testa tua e di chi ti sta accanto, è difficile aggredirla, sconfiggerla, tenere duro di fronte alle diagnosi, alla mutilazione, alle chemio, al vomito e all'atonia dei giorni “no”. Alla fine, è una perdita d'indentità che il dolore contringe a vivere, come se comprimesse la testa sotto la sabbia senza lasciarti respirare.

Proprio per questo, l'impegno quotidiano dell'associazione padovana Volontà di vivere è ancora più nobile e significativo, perché non solo si prende cura delle donne colpite da tumore al seno, ma anche dei loro familiari che troppo spesso non reggono di fronte alla notizia della malattia. «Il confronto con chi ci è già passato – spiega la presidente Anna Donegà – è una grande consolazione e la condivisione con altre donne che si trovano nella stessa situazione è un sollievo che non possono dare né medici né familiari».

Le proposte elaborate dalle 40 volontarie attive, tutte uscite vincitrici dalla malattia o familiari di malate che non ce l'hanno fatta, sono molteplici e si rivolgono a un centinaio di utenti ogni anno: dal supporto psicologico al linfodrenaggio manuale fino ai laboratori artistici come mezzo per veicolare l'esperienza e farla uscire da sé.

L'attività è imponente: solo nel 2015 (i dati 2016 sono ancora in elaborazione) sono state 850 le ore dedicate alle sedute di linfodrenaggio individuali, 650 quelle per il sostegno psicologico individuale per il malato oncologico, 100 ore per il sostegno a familiari, alle coppie e a mariti o compagni, 450 le ore di informazioni alle neo operate direttamente nei reparti ospedalieri allo Iov e alla Casa di cura di Abano. E poi, ancora, 2 mila ore di aiuto e sostegno telefonico, 450 ore di organizzazione e partecipazione a convegni formativi e divulgativi, senza parlare dei corsi per i nuovi volontari.

A giugno 2016, a palazzo Moroni è stata allestita la mostra “Con il sen(n)o di poi” che ha raccolto il frutto artistico del percorso di mutuo auto aiuto affrontato da dieci donne lo scorso anno con il progetto “Obiettivo rivivere” che ha puntato sulla cura psicosociale del cancro. Le pazienti hanno utilizzato la macchina fotografica per raccontarsi e “buttare fuori” la relazione con la malattia che hanno vissuto o che è ancora in corso. «L'11 maggio – continua Anna Donegà – verrà organizzata in collaborazione con l'università di Padova una giornata di studio all'Orto Botanico in cui racconteremo questa interessante e positiva esperienza».

Anche la prevenzione è un “fiore all'occhiello” di Volontà di vivere perchè solo arrivando preparati si può vincere la propria battaglia quanto prima contro il cancro.

«Con il progetto “Martina” – continua Anna Donegà – entriamo nelle scuole superiori di Padova e di tutta la provincia da ottobre a metà maggio una volta alla settimana insieme a tre specialisti (un urologo, un dermatologo e un ginecologo) per spiegare ai ragazzi, maschi e femmine, com'è fatto il loro corpo, cos'è il tumore agli organi genitali e al seno e come si previene attraverso l'autopalpazione».

La volontaria

Annamaria Cavezzana, dopo aver «smaltito la malattia» iniziata nel 1992, ha scelto di mettersi a disposizione di Volontà di vivere per stare accanto a chi si trovava nella sua stessa condizione:

«Avevo conosciuto l'associazione proprio come utente e ho sentito forte l'esigenza di fare qualcosa a mia volta. Ogni settimana incontro le donne operate nella casa di cura di Abano e l'emozione più grande è ritrovarle qualche tempo dopo che hanno sconfitto il male. Tutte mi dicono: “Aveva ragione, quello che ci raccontava era tutto vero”. Io non faccio altro che togliermi la prima pelle e raccontare ogni volta, sebbene sia sempre doloroso, cosa ho passato, come mi sono sentita, cosa ho dovuto affrontare con me stessa e con chi mi stava accanto»

Annamaria Cavezzana è anche l'anima del progetto Martina, che solo nel corso dell'anno scolastico 2015-16, ha raggiunto 2.800 studenti superiori in 30 incontri e con il coinvolgimento di 24 medici volontari. I ragazzi dimostrano le reazioni più disparate di fronte alla prevenzione: c'è chi si apre e racconta che anche la sua mamma è stata malata... ma per altri tutto sembra troppo duro da accettare. «All'inizio è sempre molto delicato iniziare a parlare – racconta Annamaria – Di fronte alle immagini che facciamo vedere alcuni scoppiano a piangere, altri svengono... I ragazzi, i maschi soprattutto, faticano a confrontarsi con la sofferenza, perché non la conoscono e non sanno cosa sia. Poi, però, recuperata la calma sanno ascoltare bene, facendo domande pertinenti e capendo l'importanza di conoscere il proprio corpo, di non averne paura e di essere vigili nei confronti dei segnali “sospetti” che può dare. Non ci serve chiamare le scuole per presentarci; sono gli istituti che ci contattano direttamente, perché ormai ci conoscono da tanti anni e sanno come affrontiamo il problema».

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