I ricordi di Nico Facciolo: «Quel giorno che Reja mi cambiò la vita»

Nico Facciolo, classe ’62, ha giocato (portiere) tra i professionisti con Monselice, Pordenone, Reggiana, Arezzo e Triestina. Dopo lo stop al calcio giocato, ha intrapreso la strada di preparatore dei portieri, iniziando col Giorgione e poi, via via, con Giorgianna, ancora Giorgione, Trento, Padova, Cagliari, Napoli e infine ancora Cagliari (sino all’estate del 2015). Tra gli altri, ha fatto parte dello staff di allenatori del calibro di Reja, Frosio, Donadoni, Bisoli, Zeman e Zola.
Di Casale di Scodosia, ora vive a Montagnana. E racconta la sua carriera, dalle giovanili al fascino di San Siro.

I ricordi di Nico Facciolo: «Quel giorno che Reja mi cambiò la vita»

«Ho smesso presto di giocare, 32 anni, pochi per un portiere. Sono scelte che uno fa, quell’offerta della Triestina, contratto principesco, tre anni: ho detto sì. Il primo anno li ho presi tutti, il secondo solo una parte, il terzo nulla. Sì, sono capitato dentro il fallimento della società, hanno deciso che era fine luglio, squadre già a posto e io che aspetto. Un po’ di peso in più, dovevo aspettare gennaio, proposte così così e ho deciso di dire stop. Dato che volevo comunque starci dentro a questo ambiente, ho preso la strada del preparatore dei portieri, mi piaceva l’idea di insegnare quel che avevo imparato da altri e farlo però a modo mio, per come la vedevo io».

Nico Facciolo, classe ’62, ha giocato (portiere) tra i professionisti con Monselice, Pordenone, Reggiana, Arezzo e Triestina.
Dopo lo stop al calcio giocato, ha intrapreso la strada di preparatore dei portieri, iniziando col Giorgione e poi, via via, con Giorgianna, ancora Giorgione, Trento, Padova, Cagliari, Napoli e infine ancora Cagliari (sino all’estate del 2015). Tra gli altri, ha fatto parte dello staff di allenatori del calibro di Reja, Frosio, Donadoni, Bisoli, Zeman e Zola. Di Casale di Scodosia, ora vive a Montagnana.

«Molti dicono che avrei potuto fare di più e se guardo indietro ne vedo di cose che avrei potuto fare meglio. Sacrifici ne ho fatti, più all’inizio però. Ero con gli allievi a Monselice: i miei amici fuori il sabato sera e io a letto presto, c’era la partita il giorno dopo. Ma ammetto che poi negli anni non è che abbia fatto molto la vita d’atleta: i ritiri non mi sono mai piaciuti, con gli allenatori che allora venivano a vedere se eri a casa ed era proprio dura per me non uscire, questa la mia natura».

«Poi è arrivato il momento che mi volevano tutti, gli anni di Reggio Emilia, ragazze che mi cercavano da tutte le parti, io che vengo dalla campagna, ignorante la mia parte, non ce l’ho fatta a gestirla una cosa così, non ero in grado. Ora le cose le vedo naturalmente con altri occhi, di anni ne ho tanti di più, certo però che mi piaceva proprio quella bella vita».

«Fisicamente ero una bestia, ma mi sono fatto spesso male, così è andata. L’ernia discale e m’hanno operato che avevo 21 anni. Stavo male da tempo, non si sapeva bene quel che potevo avere e mi ricordo quel gol che ho preso un giorno, il pallone lì che rimbalza vicino a me e io per il dolore che non ce la faccio nemmeno a spingere un po’, niente, roba che volevo buttarli via gli scarpini quella volta. Poi finalmente mi operano e quando sto andando alla grande, crac al ginocchio, giocavamo contro il Parma di Sacchi e l’ho pure finita quella partita, fasciato e due punture. Rompersi il crociato (e il menisco) non era come adesso, me l’hanno sventrato il ginocchio e quanti stiramenti alla gamba opposta quando sono tornato a giocare!».

«Dai, ero un asino io a scuola, è stato il calcio a darmi tutto. Visto che a scuola per me era davvero dura, mio padre m’aveva mandato a lavorare, idraulico, sarebbe stata questa o qualcosa del genere, la mia strada. Determinante fu Reja, che allora mi allenava: certezza assoluta non poteva esserci ma “Nico ce la farà a vivere col calcio”. Così disse un giorno a mio padre, che l’indomani mi fece stare a casa dal lavoro. Ecco perché lo spartiacque è stato Reja, poi il destino ha voluto che diventassi un suo collaboratore, lo sono stato per anni».

«Ora sono anche in pensione e sono fermo, ma non me la sono messa via del tutto. D’accordo, non posso più mettermi lì a fare due-trecento tiri in porta, però per spiegare situazioni e movimenti, ci potrei stare ancora».

«Che vuoi, per anni sono stato uno dei venti preparatori di portieri della serie A, pensa, 20 posti e chissà quanti avrebbero voluto essere al mio posto. Oh, vai a San Siro…
San Siro e li hai tutti lì a un metro i migliori. Certo, nessuno regala niente, devi dare e fare risultati, ma è comunque dura smettere. Beh, dovrei farmi la plastica a entrambe le ginocchia, andare avanti col Voltaren come ho fatto in questi due ultimi anni non è certo il massimo, per forza uno alla fine deve decidere».

«È che sto vivendo con troppa calma attorno, troppa. Prima magari mi lamentavo della vita frenetica che avevo e ora quello stress mi manca: da una parte non vedi l’ora che finisca, e quando finisce vorresti ricominciare. Almeno d’estate posso girare in bici, andarmene a pescare, ma d’inverno? Nebbia, freddo, ghiaccio: dove vai? In paese è bello, sono sempre stato molto legato a questi miei posti, ma dove vai? Sì, c’è l’osteria, come no, ma hanno tutti settanta anni o più… vuoi mettere quanto più bello è stare con i giovani?».

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