Lucio Topatigh. «Atleta e fornaio. La passione supera ogni ostacolo»

Il Falco di Gallio: «Il mio panificio di Gallio era già avviato e dovevo conciliare l’impegno lavorativo con gli allenamenti; a volte dormivo tre ore a notte. Solo una grande passione permette il superamento di ostacoli all’apparenza insormontabili»

Lucio Topatigh. «Atleta e fornaio. La passione supera ogni ostacolo»

Lucio Topatigh ha l’hockey nel sangue. Il Falco di Gallio, come è stato ribattezzato dagli addetti ai lavori, si è ritirato quasi dieci anni fa, al termine della stagione 2007-08, ed è considerato l’hockeista italiano più forte di tutti i tempi. 
«In verità mi sono ritirato ufficialmente due volte: nel 2003 e definitivamente nel 2008. Nel 2004, dopo nove mesi di inattività, sono tornato sul ghiaccio all’età di 38 anni; il richiamo dell’hockey per me era troppo forte e non ho resistito, allettato anche dalla possibilità di trascinare l’Asiago alla conquista dello scudetto, poi andato al Milano».

Oggi lei gestisce un panificio nella sua Gallio, però continua a osservare da vicino l’hockey su ghiaccio: quali differenze riscontra tra i suoi tempi e l’hockey attuale, in cui gioca anche suo figlio Tommaso?
«L’hockey attuale non è più quello della mia epoca: senza nulla togliere ai pur buoni stranieri di oggi, io sono cresciuto giocando con e contro dei fuoriclasse come Ron Flockart, Toy Fiore o Bill Stewart, dai quali avevo solo da imparare».

L’hockey su ghiaccio, diffusissimo nel Nord Italia, è una disciplina sportiva che forgia il carattere e trasmette valori importanti che vanno al di là della partita...
«Forse ai miei tempi gli scontri di gioco sul ghiaccio erano più duri, ma poi, a fine partita, si andava a prendere una birra insieme. Il “terzo tempo” esisteva sul serio, nel senso che ci si dimenticava presto di quanto successo durante la partita e si diventava anche amici. Chi non ha l’hockey dentro, difficilmente può capire.

Negli altri sport non succede: a volte rimane dell’astio, ma nell’hockey è tutto diverso, si cresce come uomini, nel pieno rispetto dell’avversario».

La passione per lo sport e nel suo caso per l’hockey su ghiaccio è spesso irresistibile: la sua carriera è culminata con la partecipazione alle olimpiadi invernali di Torino 2006.
«Ho raggiunto il massimo a 40 anni e l’esperienza a Torino con la nazionale è stata indimenticabile. Non è stato facile prepararmi per quell’appuntamento: il mio panificio di Gallio era già avviato e dovevo conciliare l’impegno lavorativo con gli allenamenti; a volte dormivo tre ore a notte. Solo una grande passione permette il superamento di ostacoli all’apparenza insormontabili».

Una carriera costellata di successi la sua, che le ha spianato la strada verso l’inserimento nel 2014 nella Hall of fame, il massimo per un giocatore di hockey. 
«È stata una grande soddisfazione personale, anche se all’inizio pensavo si trattasse di uno scherzo… Non posso comunque dimenticare il primo storico scudetto vinto con Asiago nel 2001. Nella finale decisiva contro Milano, mi ruppi il legamento crociato dopo soli 7 minuti di gioco, ma la voglia di vincere fu talmente grande che resistetti al dolore e continuai a giocare fino al termine, segnando anche uno dei rigori decisivi: fu una gioia indescrivibile».

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