Nazzareno Berto: «Le bici cambiano, ma il ciclismo è sempre lo stesso»

Nato a Conselve nel febbraio del 1957, Nazzareno Berto ha iniziato a correre con la Ciclisti padovani ed è stato poi professionista per 6 stagioni. Da molti anni è meccanico in squadre professionistiche. La prima fu l’Ariostea, a cui sono seguite MgBoys, Gewiss, Riso Scotti, Mapei, Mercatone Uno (l’ultimo anno di Pantani), Alessio, Liquigas (una decina d’anni), Tinkoff (con Sagan). In questo 2017 è stato con l’Aqua Blue Sport e l’anno prossimo sarà alla Bardiani. 

Nazzareno Berto: «Le bici cambiano, ma il ciclismo è sempre lo stesso»

«Di chilometri penso di averne fatti meno quest’anno, meno di una volta. Ora si prendono più aerei, sarò arrivato sui 30.000 e in tutto sarò stato via un 170 giorni, quasi metà anno insomma. Me la cavo bene col francese e lo spagnolo, meno con l’inglese ed è certo dura a 60 anni… fin che devo parlare dei componenti della bici ancora ci sono, ma se non è ciclismo e ancor più se parlano in fretta, faccio proprio fatica. Ma comunque sia, me la sono sempre cavata, aeroporti e in giro per il mondo, ma a casa alla fine ci sono sempre tornato».

Nazzareno Berto è nato a Conselve nel febbraio del 1957 e vive a San Pietro Viminario.
A suo tempo pure lui con la Ciclisti padovani (tra l’altro, campione italiano inseguimento sia da allievo che da juniores), ha fatto poi il professionista per 6 stagioni (con la vittoria nel 1980 al Giro della Toscana, battendo Saronni in volata) ed è da molti anni meccanico in squadre professionistiche. La prima fu l’Ariostea, a cui sono seguite MgBoys, Gewiss, Riso Scotti, Mapei, Mercatone Uno (l’ultimo anno di Pantani), Alessio, Liquigas (una decina d’anni), Tinkoff (con Sagan). In questo 2017 è stato con l’Aqua Blue Sport e l’anno prossimo sarà alla Bardiani.

«Sì, mi piace ancora quel che faccio, in particolare lì a sistemare le bici, quando magari c’è qualcosa che non va, che so, il cambio, il movimento che tocca… allora insisto, non lascio stare, non mi accontento e così poi – quando le cose sono fatte come vanno fatte – ti arriva il complimento, la stretta di mano, il ringraziamento: ecco, lì è proprio il massimo. Ai miei tempi pure io ero pignolo con la mia bici: lei dev’essere a posto, non c’è da discutere».

«Ho detto che mi piace ancora ed è così. Devo anche dire che faccio proprio fatica a vedermi fermo a lavorare, ore e ore sempre nello stesso spazio, tutti i giorni, no grazie. E poi, a dirla tutta, devo anche continuare per arrivare intanto alla pensione, anche se non so poi come farò: tutto il giorno in casa? A funghi tutti i giorni? Beh, qualcosa farò, ci penserò: l’idea che ho in testa è una piccola officina, dove riparare e sistemare le bici, anche quelle vecchie, con qualche amico che passa e viene a trovarmi, una cosa così».

«Per me tutto sommato l’ambiente del ciclismo era meglio una volta. C’era più gruppo, più scambi, si stava più assieme.
Ora con smartphone e computerini, tutti spariscono, ciascuno per sé. E certo però che mi sento comunque un privilegiato, come no. Se avessi fatto l’operaio come avrei potuto ad esempio andare più volte in Australia, e negli Emirati arabi, in Sudafrica, in Colombia, in Argentina? Come sarebbe stato possibile?
Beh, il turista proprio no, di tempo ce n’è sempre poco, ma quando capita qualcosa la vado a vedere, tipo adesso col Giro di Turchia che sono andato a vedere la moschea a Istanbul o al Tour che ho fatto a tempo a visitare Mont Saint-Michel».

«Coi giovani vado proprio bene, sto bene in mezzo a loro, è anche un modo forse per sentirmi meno vecchio.
Faccio fatica a capire come si possa pretendere – noi “di una volta” – che i giovani facciano e pensino come noi: siamo noi che ci dobbiamo adattare, come può non essere così? Comunque il ciclismo in fondo ha sempre le stesse regole: pur essendo le bici dei gioielli, con questi nuovi materiali, il peso rivoluzionato, l’elettronica che per esempio adesso ha fatto sparire i fili dal cambio, è l’allenamento quel che conta, quel che mangi, la vita che fai»

«Io l’ho fatta giusto quand’ero dilettante, passando professionista pensavo d’aver fatto il più e invece sbagliavo, era lì che in pratica tutto cominciava davvero. Sbagli ne ho fatti e so bene adesso che avrei potuto fare molto di più, avrei potuto essere un buon professionista, andavo in salita, bene in volata. Sì, un’occasione sprecata e del resto non sono proprio gli sbagli quelli che ti fanno capire di più? Ecco, sento che una mano ai giovani gliela potrei dare, ci sono passato anch’io, ma come fanno ad ascoltare? È raro, anch’io non l’ho fatto a suo tempo, poco da fare».

«L’anno prossimo sarò con la Bardiani e sono così contento di essere con Bruno Reverberi, lui sì che è un direttore sportivo tutto d’un pezzo, un po’ vecchio stampo magari, ma che li sa tenere i corridori, non farsi comandare. La bici l’avevo proprio lasciata stare, ora da qualche anno l’ho ripresa. Me ne vado sempre verso i Colli, non mi piace la strada verso il mare, tutto dritto. Un paio d’ore, vado da solo, un po’ mi piace così, un po’ è pericoloso lì per strada, ce ne sono tante di macchine che proprio non li rispettano i ciclisti. Vado al mio passo, mi guardo attorno: quanti posti favolosi abbiamo, con questi panorami che continuano a cambiare. Mi rilasso, ecco».

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