Nico Pulzetti, il capitano. "L’esempio si dà con i fatti"

Nico Pulzetti, nato a Rimini nel febbraio di 33 anni fa, da agosto è capitano del Calcio Padova che sta facendo sognare i suoi tifosi. «Lo so bene che sono fortunato, sono riuscito a far diventare la mia passione e la mia dedizione verso lo sport un mestiere e non è che sia così facile».

Nico Pulzetti, il capitano. "L’esempio si dà con i fatti"

«In fondo ho capito che potevo starci in questo mondo, solo dopo il mio primo anno di serie A, a Livorno, anno indimenticabile, feci anche due gol, pensa, uno di quei due l’ho fatto al Milan ed era il giorno del mio compleanno. Sì, ero dunque in serie A, là dove tutti sognano un giorno d’arrivare. Come tutti, da ragazzo, prima di tutto c’era la passione, grande passione ma devo dire che è diventato anche un lavoro dopo che mi sono sposato, ancor più dopo che abbiamo avuto un figlio: è stato lì che ho capito che oltre alla passione e a tutto quello che è legato allo sport – e penso, che so, al rispetto delle regole, i sacrifici grandi e piccoli che uno fa, lo stare lontano dai tuoi eccetera – il calciatore è un qualcosa che va fatto bene pure per portare a casa qualcosa di importante. Ora poi che mi sto avvicinando alla fine della carriera, riesco ancor più a capire quanto sia un mestiere duro e non si tratta solo del campo, degli allenamenti. Sono convinto che chi è fuori da tutto questo non capisce effettivamente come stanno le cose, tutti lì subito a giudicare, al solito guardando subito ovviamente il lato economico ed è certo vero che siamo dei privilegiati, sia dal punto di vista economico che per altre cose, ma in cambio c’è tutto quello che si deve dare, le amicizie trascurate, gli infortuni che ti capitano proprio perché siamo tirati come delle macchine da corsa, proprio all’estremo, anche da un punto di vista psicologico, sempre in tiro, con allenamenti poi che continuano a essere sempre più duri, giorno dopo giorno». 

Di Rimini, nato nel febbraio del 1984, Nico Pulzetti è cresciuto come calciatore nel vivaio del Cesena ed è proprio con la maglia del Cesena che – ventenne – ha esordito tra i professionisti, in C1, nella stagione 2003/04. Dopo la stagione col Castelnuovo Garfagnana in C2 (a farsi le cosiddette ossa), ha giocato per due campionati in B col Verona, approdando poi in serie A col Livorno. L’esordio in A l’ha fatto esattamente il 25 agosto 2007, alla prima giornata di campionato, a Torino: Juventus-Livorno 5 a 1. In quella stagione il Livorno retrocedette in serie B, riconquistando immediatamente il successivo campionato la serie A. Dopo Livorno, ha via via giocato con Bari (A), Chievo (A), Bologna (A), Robur Siena (B), Cesena (A) e Spezia (B). Sposato, un figlio, maglia numero 7, attuale capitano dei “nostri”, è arrivato al Padova la scorsa estate.

«Lo so bene che sono fortunato, sono riuscito a far diventare la mia passione e la mia dedizione verso lo sport un mestiere e non è che sia così facile, non capita a tanti e chissà quanti sono invece quelli che giusto galleggiano, facendo lavori che non piacciono ed è in questo modo che passano tanto del loro tempo. Ecco perché sono fortunato. Ma oltre alla fortuna ci vuole altro e di mio so di averci messo la forza di volontà, l’averci sempre creduto, d’essermi sempre allenato al 200 per cento, sin da giovane, anche per quello che in fondo è il mio modo di giocare, aggressivo, sempre agonista».

«Sì, sono il capitano ed è la mia prima volta a portare la fascia. È capitato la scorsa estate, io qui col Padova sono arrivato lo scorso luglio, se non sbaglio penso d’essere stato proprio io il primo acquisto dopo che avevano preso Bisoli come mister. Eravamo in ritiro, c’era Altinier che stava passando alla Reggiana, c’era la questione del capitano da risolvere e ricordo lì un giorno che l’allenatore ci ha radunato sul campo, proponendo al gruppo che fossi io il capitano… sai com’è, l’esperienza, la mano che avrei potuto dare, queste cose qui. No, non ne sapevo nulla, Bisoli non mi aveva nemmeno accennato della cosa e anche per quella che è stata la risposta dei compagni – tutti d’accordo – ho detto sì. Non sono uno che parla poi tanto, penso che la cosa migliore siano i fatti: sempre uno dei primi ad arrivare al campo e quando possibile mi metto davanti a tutti nelle esercitazioni, è così insomma che spero di dare l’esempio, di far sì che mi vengano dietro».

«Le partite a dir la verità non è che le senta più di tanto, è sempre stato così, anche da giovane. Dove “soffro” invece è giusto nel trasferimento in bus sino al campo, quel tragitto lo patisco sempre. Ma tutto passa poi entrando nello spogliatoio, lì dove so concentrarmi con me stesso, ancora senza parlare poi molto, cercando solo di dare serenità perché è compito del mister dire le cose. Cos’è adesso il divertimento? Mah, la prima cosa che mi viene da dirti è che non mi stancherò mai di vincere e dunque i tre punti servono, come no, fanno parte della felicità del lavoro. Però io sono contento e mi sento bene pure per un buon allenamento, mi diverto quando sono lì che sudo, quando ci do dentro, pur con allenamenti pesanti o magari noiosi come sono quelli in cui fai tattica, ancora e ancora. E c’è poi lo spogliatoio, lo star lì dentro, con tutto quel che succede. Capisco bene perché mi capita spesso di leggere che per chi smette, è proprio lo spogliatoio quel che più viene a mancare. E chi non ha provato cosa significhi uno sport di gruppo, non solo il calcio insomma, difficile possa capire cosa e quanto succeda lì dentro».

«Con i giovani potrei dire la solita frase, che ci vuole il bastone e ci vuole la carota. Certo che sono ora talmente diversi da un tempo che mi “spaventano”: sono e si comportano da più grandi rispetto a quel che ero io alla loro età. Ragazzi di 18-19 anni che salgono dalla Berretti e io che sono sempre lì a domandarmi cosa mai avrei potuto fare – io che comunque ero in A che non avevo ancora 23 anni – se fossi stato più sveglio e pure più presuntuoso, sì, come sono i ragazzi adesso. Dai, a oggi l’unica cosa che so fare è giocare a calcio e quindi, quando penso al momento in cui smetterò (consapevole che si sta davvero avvicinando), ora come ora non so, non posso che pensare al calcio, a provare a rimanere nell’ambiente insomma. E spero di chiudere in questa città, mi ci trovo benissimo e sono contento della scelta che ho fatto anche se scendevo di categoria: la mia famiglia lì a Jesolo, ci sto bene, faccio su e giù e spero di poter continuare a lavorare per l’attuale proprietà e di rimanere nell’ambiente. Non so dire ancora con che mansioni, ce ne sono diverse, certo che un qualcosa che mi piace è lo stare all’aria aperta, il pestare l’erba, stare sul campo… vedrò come va».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)