Veneto: la città senza più confini

Venezia, Padova e Treviso da un lato, Vicenza e Verona dall'altro. In queste aree si è andato concentrando negli ultimi anni la popolazione, con una crescita sostenuta delle cinture urbane. Ridisegnando l'immagine tradizionale di un Veneto policentrico, e aprendo nuovi problemi di sostenibilità urbanistica e pianificazione territoriale.

Veneto: la città senza più confini

Dimenticate i confini municipali (ma anche di frazione; per le parrocchie si vedrà…), le vecchie mura, i borghi: tutto è già cambiato o sta rapidamente mutando anche per quanto riguarda l’organizzazione del territorio.
«La città – si legge nell’ultimo rapporto statistico 2016 della regione Veneto – assume un ruolo sempre più strategico nello scenario europeo, qui si concentrano le principali sfide in ambito ambientale, sociale ed economico, sia in termini di potenziali soluzioni innovative che di rischio di problemi di sostenibilità. Il modello di sviluppo urbano ipotizza una città del futuro, oltre i confini amministrativi e vista come funzionale a servizio del proprio territorio di riferimento, privilegiando una struttura compatta di insediamenti con una limitata proliferazione urbana e capace di essere polo attrattivo di persone che vi gravitano per lavoro o studio».
Quindi, giusto per essere in linea con le più generali tendenze europee, via al ridimensionamento delle province, maggior peso alle città metropolitane, un occhio di riguardo alle cinque aree urbane (Padova, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza) e ad alcuni poli minori, dislocati lungo i principali assi viari. Cambiamenti ancora non compiuti, ma da tenere d’occhio, perché il futuro pare realmente andare in queste direzioni.

Oltre i confini amministrativi
L’Ocse, in accordo con la Commissione europea ed Eurostat, nel 2012 ha sviluppato una definizione “armonizzata delle aree urbane”, denominate Fua (functional urban areas), in cui i tradizionali confini municipali contano poco o nulla. Tali ambiti cittadini, infatti, sono caratterizzati da un nucleo urbano densamente abitato (urban core) e da un hinterland, il cui mercato del lavoro è fortemente integrato con il core. Tale definizione è applicata a 29 paesi Ocse e porta all’individuazione di 1.179 aree urbane europee di dimensioni diverse. Il core viene selezionato mediante l’aggregazione di piccole porzioni di territorio (di 1 chilometro quadrato) contigue (ma non solo), con una densità di almeno 1.500 abitanti per kmq.

In Veneto rientrano in questa definizione di area urbana funzionale cinque città capoluogo, con il loro circondario: Venezia come “metropolitana“, Verona, Padova e Vicenza come “aree urbane di media dimensione”, e Treviso come “piccola area”; queste sono di dimensioni più modeste e abbastanza ravvicinate: in particolare Venezia, Padova e Treviso sembrano costituire quasi un continuum. Le aree così individuate hanno tutte una dimensione demografica maggiore dei 200 mila abitanti e una densità di popolazione molto superiore alla media regionale (268 abitanti per kmq); coprono il 16 per cento della superficie del Veneto e concentrano il 40,3 per cento della popolazione.

Le nuove aree urbane
Quasi la metà della popolazione regionale risiede in aree urbane, ben il 19 per cento nei cinque comuni capoluogo.
Vista l’attrattività dei core per la presenza di attività e di servizi, maggiore è la popolazione che gravita attorno ai capoluoghi: a chi vi risiede, si aggiunge chi giornalmente vi si reca per motivi di lavoro o studio. Negli ultimi dieci anni la popolazione urbanizzata è cresciuta di circa il 5 per cento, un valore in linea con la media regionale; però, ciò che vale la pena evidenziare sono le dinamiche: mentre nei capoluoghi la popolazione è rimasta mediamente stabile, con l’eccezione di Venezia che ha perso abitanti, i comuni degli hinterland hanno registrato mediamente un incremento di residenti superiore al 9 per cento, posizionandosi quindi come la più rilevante zona d’attrazione, dove le famiglie possono trovare abitazioni a costo inferiore a quelle dei centri cittadini, di costruzione più recente e collegate con i sistemi di trasporto locale.
Anche per questo, nei capoluoghi la composizione per età dei residenti è sbilanciata in favore degli anziani (quasi il 26 per cento ha più di 64 anni), che spesso possiedono la casa da anni, mentre il peso della popolazione giovane è maggiore negli hinterland: qui il 19,2 per cento ha meno di 20 anni, contro il 16,8 dei capoluoghi; in questi ultimi la dimensione media delle famiglie è più piccola per l’elevata presenza sia di giovani single, che di vecchi; basti pensare che Padova ha una quota dell’11,5 per cento di giovani soli, contro una media regionale del 2,3, e che gli anziani soli nei capoluoghi sono circa il 30 per cento contro un valore medio regionale del 20,9

La vulnerabilità cittadina
La concentrazione di migliaia di persone in aree urbane può acuire il rischio di forme di ”vulnerabilità” (la definizione è dell’Istat) e disagio abitativo o di marginalità sociale. Questi fenomeni si devono sia all’attrattività delle grandi città per persone in cerca di occupazione, spesso immigrati, con condizioni sociali e abitative talvolta precarie, sia ai più recenti squilibri indotti dalla crisi economica.
Rispetto alla situazione italiana, nel 1991 il 39 per cento dei comuni non evidenziava particolari problemi di inclusione sociale, mentre circa il 41 risultava avere un rischio di vulnerabilità medio-alto, specie nel Polesine, nel Veneziano e nelle zone montane; nessuno comunque rientrava fra i comuni italiani con le più alte criticità; dopo 20 anni la fotografia del Veneto è completamente trasformata e la quasi totalità dei comuni risulta star bene (84 per cento). Dunque per i centri veneti si assiste a un netto miglioramento delle condizioni di potenziale vulnerabilità, anche in quelli prima più in difficoltà; ma la dinamica che desta maggiore attenzione riguarda i capoluoghi: se in vent’anni l’indice migliora nell’hinterland, per le città propriamente dette si registra un leggero peggioramento (da basso rischio di vulnerabilità a medio-basso).
Inoltre, nelle aree urbane in espansione si possono riscontrare situazioni delicate per quanto riguarda il disagio abitativo. In questi anni le ricadute della crisi economica e, quindi, le conseguenze in termini lavorativi e reddituali hanno generato situazioni di potenziale disagio sul tema della casa. Nelle città tale disagio è più sentito, tanto che rientrano fra i municipi definiti ad alta tensione abitativa (ata). In totale in Veneto i comuni ata sono 29 e di questi quasi la metà appartengono all’hinterland delle aree urbane considerate, nello specifico 5 nell’hinterland di Venezia (Chioggia, Jesolo, Mira, Mogliano Veneto e Spinea), 3 a Verona, 2 a Padova (Abano e Selvazzano Dentro) e uno di Treviso.
C’è da evidenziare tra l’altro che, rispetto all’hinterland, nei capoluoghi è più bassa la percentuale di alloggi occupati, quindi permane una quota di unità immobiliari sfitte, in alcuni casi anche del 20 per cento. Il fenomeno riguarda i capoluoghi ma anche l’hinterland, anzi la quota di edifici non utilizzati in generale aumenta man mano che ci si allontana proprio dal comune capoluogo, interessando in misura maggiore addirittura i comuni al di fuori dell’area urbana, non solo per la presenza di strutture in costruzione, ma anche per un maggior numero di edifici non curati e ormai in rovina (2,8 per cento non sono in uso nei 5 capoluoghi rispetto al 4,5 per cento nei comuni non appartenenti all’area urbana).

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