Dopo Firenze, Padova continua lungo la strada per comunità sempre più attente all'altro

Per i quattordici delegati della diocesi di Padova, il convegno ecclesiale nazionale di Firenze si è rivelato una conferma alla strada intrapresa dalla nostra chiesa già da tempo, attraverso l’iniziazione cristiana, il rapporto con il territorio e la sinodalità come stile distintivo. Il tutto nell’ottica generativa di uomini e donne cristiane a servizio del prossimo per trovare Gesù.

Dopo Firenze, Padova continua lungo la strada per comunità sempre più attente all'altro

Una conferma della bontà del cammino che come chiesa di Padova si sta compiendo. È questo quanto emerge come prima impressione a caldo dai 14 delegati della nostra diocesi che hanno partecipato al convegno nazionale ecclesiale di Firenze, che si è concluso il 13 novembre.
«Le nostre grandi progettualità, e cioè il cantiere dell’iniziazione cristiana, il rapporto con il territorio e la sinodalità come stile e strutturazione di chiesa – sottolinea don Renato Marangoni, delegato vescovile per l’apostolato dei laici – sono ispirate da motivi di fondo dell’Evangelium gaudii, che è stata riproposta da papa Francesco come fonte per la vita pastorale delle nostre comunità e messa al centro del convegno. Sentirsi in sintonia non vuol dire però essere e sentirsi già arrivati, ma messi su questa strada, dove la dinamica stessa è il vangelo, assunto come stile di vita che tiene viva la comunità cristiana e la chiama a muoversi, a guardare verso l’altro. Questo cambierà pian piano anche la configurazione della nostre parrocchie, chiamate a essere meno preoccupate nel gestire le cose che hanno e più creative a cogliere i segni dei tempi».
Tre sono i fronti che hanno stimolato la delegazione padovana, in particolare Michele Visentin, formatore e accompagnatore di genitori nel percorso di iniziazione cristiana. «Li leggo come cambi di prospettiva, in generale un ampliamento dell’orizzonte. La prima viene da un versetto del vangelo di Luca, tratto dal racconto della trasfigurazione, meditato con l’aiuto della biblista suor Rosanna Gerbino: “Appena la voce cessò, restò Gesù solo”. Ciò che resta è ciò che vale. Ma anche possiamo pensare che la vita vale perché nella vita ci sono le cose che restano. Mi ha provocato a un cambio di prospettiva rispetto ai movimenti, i verbi, delle cinque vie che ho sempre pensato come movimenti di uscita rispetto a un centro, e non come movimenti di uscita verso un centro. È Gesù che ci fa uscire, lui è da ascoltare, lui ci abita, da lui noi siamo educati, solo Gesù è il vero trasfigurato. Quindi le cinque vie diventano cinque movimenti interni di conversione personale».
La seconda sollecitazione viene dal sociologo Mauro Magatti, docente all’università cattolica di Milano, e dalla sintesi finale della quinta via, quella del trasfigurare. «L’inconsistenza di molte nostre preoccupazioni, parole, di molti distinguo, difese, può lasciare il posto all’incontro con altri esseri umani soprattutto nei momenti in cui gli eventi della vita aprono squarci, ferite, sorprese. La centralità della vita adulta, e non solo, come ha suggerito fra Goffredo Boselli, liturgista e monaco di Bose, è nel venire alla vita. Nell’amare e nel morire le persone si giocano qualcosa di decisivo per la loro vita. È in questi momenti che si comprende come ci sia una domanda che non si satura, che siamo sempre attraversati da una mancanza, che la misura dell’uomo non è in alcuna misura. Ma allora, per noi diocesi di Padova, significa ribadire il nostro no a un’economia astratta, no a una politica astratta, no a una città astratta. E un sì forte alla concretezza generativa di un essere umano che “trapassa” nel suo “altro” per ritrovarsi». La terza provocazione sta nel passaggio dell’icona evangelica tratta dal vangelo di Marco che ha ispirato la riflessione sull’annunciare. «Gesù dice “Andiamocene altrove”. Questo altrove lo sento come una nostra personalissima trappola mortale nel momento in cui, con troppa superficialità o supponenza, pretendessimo di averlo identificato. È un altrove, ma sempre oltre gli schemi».
Di fatto i cinque giorni fiorentini sono stati prima di tutto un’intensa opportunità di relazione e confronto tra i delegati. «Per molti di noi – sottolinea Roberta Gallato, referente diocesana, con il marito Paolo Arcolin, della pastorale familiare – è stata la prima esperienza di questo tipo. È stato bello davvero poter condividere aspettative e, a volte, anche una “sensazione di nebbia” di fronte a contenuti e prospettive non approfonditi in maniera adeguata. L’aspetto che più ci è piaciuto è stata la condivisione alla pari tra laici e vescovi, questo mettersi attorno a un tavolo senza distinzioni». Volti di una chiesa in cammino. «Sì, capace e desiderosa di porsi domande, anche quando costano fatica. Abbiamo respirato una chiesa che non si ferma, una chiesa davvero “inquieta”. Fatta sì di diverse velocità, ma capace di ritrovarsi attorno a un unico vangelo».

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