Giovani sulle tracce di Dio: la fede c'è, la Chiesa... no

Il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo mostra come nel giro di quattro anni la percentuale dei giovani che si dichiarano cattolici sia passata dal 56% al 51%. Eppure ascoltandone ragioni e racconti traspare una profonda attenzione alla "sfera credente". Liturgia e preghiera comunitaria non riscuotono particolare attenzione perché "non ne colgono il significato". Diffuso, invece, l'apprezzamento per Papa Francesco.
Paola Bignardi propone alcune riflessioni in vista dell’assemblea della Cei, dedicata al tema “Giovani, per un incontro di fede” (Roma, 22-25 maggio 2017), e del Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (ottobre 2018)

Giovani sulle tracce di Dio: la fede c'è, la Chiesa... no

A uno sguardo superficiale il mondo interiore dei giovani può apparire povero, dominato da interessi di poco conto, appiattito sulle dimensioni dell’effimero e del banale.

I dati statistici che riguardano la loro esperienza religiosa registrano una progressiva diminuzione del numero di coloro che si dichiarano cattolici. È quanto è segnalato anche dal Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, che vede passare nel giro di quattro anni la percentuale di coloro che si dichiarano cattolici dal 56% al 51%.

Tuttavia

 quando ci si pone in ascolto delle loro ragioni e ci si pone in dialogo con essi si rimane spiazzati dalla profondità del senso religioso che percorre i loro pensieri.


Certo, il loro approccio alla vita cristiana non ha i caratteri della fede che hanno imparato a conoscere a catechismo, ma denota una sensibilità e una ricerca autentica e inquieta.

Nell’orizzonte dei giovani intervistati nell’ambito dell’indagine dell’Istituto Toniolo Dio non è assente, anche se si tratta di un Dio che si mescola con le emozioni e gli stati d’animo soggettivi.
Né è assente la preghiera, ma quella fatta con le proprie parole, quando ci si sente, in base al proprio stato interiore: è chiaro che in questo quadro la liturgia, la partecipazione alla messa, la preghiera comunitaria non trovano posto perché non sono comprese nel loro valore e non riescono a entrare in relazione con la situazione soggettiva della persona.



La Chiesa, soprattutto per chi non ha potuto conoscerla come esperienza comunitaria viva e coinvolgente - ed è la maggior parte dei giovani! - non è compresa:

 non che i giovani abbiano un atteggiamento ostile nei suoi confronti, ma non ne colgono il significato. Si domandano che cosa essa c’entri con il loro rapporto con Dio, che vogliono diretto e senza mediazioni. 

Ed è la stessa sorte che capita al prete, verso cui vi è una benevola indifferenza; a meno che si sia incontrato nella propria vita qualche sacerdote che ha esercitato un fascino o un’influenza importante sul percorso personale.
Allora vi è nei suoi confronti un atteggiamento positivo, dovuto alla relazione più che al ministero.



Diversa è la posizione nei confronti di Papa Francesco, verso il quale i giovani nutrono una vera devozione 

per il suo modo di fare semplice, “normale”, libero dalle incrostazioni di un ruolo che i giovani identificano con quell’istituzione che non comprendono.


Potrebbe continuare a lungo la descrizione di questo mondo interiore che spiazza chi interpreta le nuove generazioni come indifferenti e apatiche.

A questo punto, quanti hanno a cuore l’evangelizzazione si domandano quali possibilità vi siano per entrare in dialogo con il mondo giovanile sui temi della fede, consapevoli dei gravi pericoli che la loro impostazione comporta.



quoÈ chiaro che i giovani stanno vivendo un processo inedito di reinterpretazione dell’esperienza credente. 

Lo fanno sulla spinta del bisogno di ricondurre tutto a sé, nel faticoso e affascinante percorso di personalizzazione della fede che, quando avviene in solitudine, non è esente da rischi. La loro ricerca interiore è sensibile soprattutto a due aspetti decisivi: quello delle relazioni e quello dell’esperienza.te

Con Dio i giovani cercano una relazione personale, affermano che è bello credere - anche quando si dichiarano non credenti - perché chi crede non è mai solo ma ha sempre qualcuno che si prende cura di lui e lo protegge.

Alla comunità cristiana rimproverano di essere fredda e anonima, senza coinvolgimento e senza partecipazione;

 di essa hanno un bel ricordo solo quando nel loro percorso vi hanno incontrato qualche figura di educatore che li ha fatti sentire importanti ed è diventato importante per loro.



E poi vorrebbero sperimentare una fede che si fa esperienza, coinvolgimento, responsabilità.
Non si sentono a casa in una comunità che dà loro una visione della vita appresa passivamente, o che li vuole presenti a una preghiera che avvertono solo come un rito che non li coinvolge.

A ben vedere, i giovani stessi indicano quali sono le aperture attraverso le quali è possibile entrare in comunicazione con il loro mondo interiore, per accompagnarli in una ricerca che può aiutare tutta la Chiesa a reinterpretare la sua missione in fedeltà al Vangelo.



Paola Bignardi

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Fonte: Sir