Ospedaletto Euganeo, è tempo di "patronato inclusivo"

Mettere al centro il ragazzo, con tutte le sue esigenze, dai compiti all'attività sportiva, dai giochi ai momenti di narrazione. Questa è stata la sfida, vinta, dei "Patro days" di Ospedaletto Euganeo che rappresentano anche il tentativo di aprire una nuova era, in linea con i tempi presenti, per i centri parrocchiali delle comunità cristiane.

Ospedaletto Euganeo, è tempo di "patronato inclusivo"

Biliardini, ping pong e bar non bastano più ai vecchi patronati per continuare a ricoprire quel ruolo centrale che avevano fino a pochi anni fa. Per farli ancora essere un “bene che c’è tra noi” non solo per la comunità cristiana, ma per l’intero territorio, può essere opportuno aggiungere ai centri parrocchiali anche giochi di squadra e teatro. E magari trasformarli in “patronati inclusivi”, in ascolto delle necessità.

È l’esperienza della parrocchia di Ospedaletto Euganeo, reduce da “Patro days”, il centro estivo tenutosi per quattro settimane dal 6 al 31 luglio. Se fino al 2013 il centro estivo, proposta fondamentale per le famiglie nelle quali entrambi i genitori lavorano, era stato gestito dal comune, dopo un anno “a metà” l’organizzazione del centro – pur con il patrocinio e la collaborazione dell’amministrazione comunale – è passata alla parrocchia.

Un’opportunità per ripensare alla funzione stessa del patronato. «La nostra idea storica di patronato, ereditata da san Filippo Neri e san Giovanni Bosco – spiega il parroco don Federico Camporese – presuppone che il centro parrocchiale sia un punto di ritrovo, dove le persone convergano. Ma questa idea non può resistere, così come la intendiamo adesso, nell’immediato futuro. Abbiamo una realtà giovanile che si sposta sempre meno e che proietta lo spazio degli incontri nel mondo dei social network. Con Facebook, Twitter e Whatsapp i nostri ragazzi sono sempre in contatto tra loro, non hanno più bisogno né della piazza né del patronato».

È qui che intervengono i cambiamenti: «Il “patronato inclusivo” capisce tutto questo e cerca di fare rete nel territorio, intercettando i nuovi bisogni delle famiglie e facendo proposte che, oltre a soddisfare queste necessità, contribuiscano a educare le persone nella loro interezza».

“Patro days”, esperienza vissuta dopo il grest, ha visto coinvolti 90 ragazzi dalla prima elementare alla seconda media: una cinquantina, di norma, gli iscritti di settimana in settimana. Le mattinate trascorrevano tra giochi di squadra (pallamano, pallavolo, basket e rugby) con i gruppi sportivi locali e persino parkour (percorsi attraverso qualsiasi tipo di ostacoli: la specialità acrobatica francese che suggerisce nuovi modi di spostarsi tra gli spazi urbani) con l’associazione Krapannone. Il pomeriggio, dopo il pranzo e il tempo per i compiti, i ragazzi sono stati coinvolti in laboratori interattivi d’inglese con un’interprete giunta appositamente da Trieste e in laboratori teatrali con l’associazione Ossidiana di Vicenza.

Proposte qualificate che, oltre a riscuotere il consenso delle famiglie, forse indicano una nuova funzione che i patronati possono svolgere nei nostri paesi. «La formula vincente di “Patro days” – spiegano le coordinatrici del progetto – è mettere al centro il bambino in ogni suo momento, dall’attività sportiva a quella formativa, dai giochi ai momenti di narrazione. Siamo riusciti a dare sul campo una risposta a cosa vuol dire davvero quel “bene che c’è tra noi” di cui parlano gli orientamenti pastorali: è una comunità che si muove e genera amore nell’attenzione verso l’altro».

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