Pranzo dei poveri al Barbarigo. Alla tavola della speranza

Quarta edizione, domenica 17 dicembre, del pranzo che gli studenti del Barbarigo – ma anche le loro famiglie, gli ex allievi e gli amici della scuola – vivono insieme ai poveri della città. Organizzato con la Comunità di sant’Egidio e al circuito dei pranzi domenicali Caritas è un’occasione concreta per mettersi a servizio degli altri

Pranzo dei poveri al Barbarigo. Alla tavola della speranza

Il 17 dicembre il Barbarigo è anche casa loro: anche quest’anno per la terza domenica di avvento (o “della gioia”) la scuola paritaria della diocesi organizza un pranzo per i poveri della città. Una sessantina gli studenti coinvolti e un centinaio gli ospiti previsti, per un’iniziativa che si avvale della collaborazione della Comunità di sant’Egidio e del circuito dei pranzi domenicali della Caritas diocesana.

L’appuntamento, nato nel 2014, giunge alla quarta edizione:

«Un giorno avevamo chiamato a scuola durante l’ora di religione alcuni aderenti alla Comunità di sant’Egidio – racconta don Lorenzo Celi, animatore spirituale dell’istituto – e tra le varie iniziative da loro raccontate c’era proprio l’organizzazione un pranzo natalizio. Sono stati i ragazzi a chiedere perché non facessimo la stessa cosa anche nella nostra scuola».

Oggi il pranzo di Natale al Barbarigo, atteso e messo in calendario fin dall’inizio dell’anno scolastico, è già diventato una “tradizione” nella quale vengono coinvolte anche famiglie, ex allievi e amici della scuola.

Il fine è certamente umanitario ma anche educativo, perché organizzare un evento del genere in una scuola significa soprattutto iniziare alla carità. «I ragazzi hanno bisogno di esperienze concrete anche per capire cosa significhi il dialogo con persone che vengono da culture ed esperienze di vita diverse – continua don Celi, che dirige anche l’ufficio diocesano di pastorale della scuola – In questo la tavola rappresenta il luogo di incontro per eccellenza». Lo scopo non è solo dare da mangiare, ma nutrire lo spirito di condivisione e di accoglienza; per questo i ragazzi non si limitano a servire: molti di loro sono seduti a tavola con gli ospiti, mentre altri ancora suonano dal palco oppure organizzano momenti di intrattenimento.

Per la scuola diocesana non si tratta di un evento isolato: «I ragazzi si rendono conto che il pranzo va nella logica del segno, un modo per ricordare a tutti l’impegno di servire gli altri – conclude don Celi – Per questo, in quanto scuola della diocesi, cerchiamo di collaborare con le altre realtà che vivono il servizio della carità nei vari ambiti, come l’Opera della Provvidenza di Sant’Antonio, la Caritas, il Cuamm e il Centro missionario. Per la prossima quaresima, ad esempio, ci proponiamo di raccogliere viveri per le Cucine popolari e le mense parrocchiali».

La cosa importante però, oltre a offrire beni materiali, è soprattutto dare la disponibilità a incontrarsi e a condividere:

«Gli ospiti sono tutte persone che conosciamo e che incontriamo ogni settimana nel nostro servizio ai poveri – spiega Elisa Rizzato, da 26 anni volontaria della Comunità di sant’Egidio – e anche loro di anno in anno ci chiedono quando ci sarà il pranzo al Barbarigo. Sono commossi in maniera particolare perché possono stare a contatto con i giovani: molti di loro hanno figli della stessa età e questo li tocca molto. Percepiscono inoltre che c’è una cura particolare nella preparazione: i ragazzi hanno capito che non si tratta solo di servire il cibo ma anche di fare un sorriso, fermarsi a parlare. Stabilire insomma una relazione». Per questo sono gli stessi ragazzi ad andare con la Comunità nelle strade e in stazione, qualche giorno prima, per portare un invito personale. Ma c’è di più: «Vedere i ragazzi vicino ai poveri che vivono in strada, assieme a Sant’Egidio e a Caritas, può essere l’immagine di una società ricucita, di quello che può essere la nostra città. Che è fatta di poveri e di benestanti, bianchi e neri, persone di religioni differenti: tanti mondi diversi che possono incontrarsi intorno a una tavola, in pace e armonia».

Non si tratta solo di aiutare, ma di sentirsi vivi e utili come parte di una società: perché uno dei pericoli più grandi oggi si chiama solitudine e spesso non si limita a colpire i poveri e gli anziani. Si può finire sulla strada per tanti motivi, non solo per la povertà materiale.

«Anche per questo, in questi anni di crisi, sono triplicate le richieste delle persone che si rivolgono a noi per diventare volontari. L’amicizia dei poveri può salvare anche un giovane, dare un significato e una speranza in un’epoca in cui tutto sembra dire che la tua vita un senso non ce l’ha».

Patrizia Chiarini

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