Rotzo, al Bostel lo scavo didattico è aperto fino al 7 settembre. E gli archeologi lavorano con i droni

Immagini satellitari, prospezioni geofisiche e rilevamenti con apparecchi radioguidati hanno consentito di individuare una nuova area di scavo promettente per completare lo studio del villaggio retico risalente alla seconda età del ferro. Il progetto ha dato una grande importanza alla comunicazione e al coinvolgimento degli abitanti dell’Altopiano, dei turisti e dei giovani

Rotzo, al Bostel lo scavo didattico è aperto fino al 7 settembre. E gli archeologi lavorano con i droni

L’archeologia fa spettacolo anche senza ricorrere al baluginare di “tesoretti” alla Indiana Jones o alla mirabilia delle tombe reali della Valle dei re, ma solo mostrando come la pazienza e la professionalità dei detective del passato possono ricostruire i momenti più significativi della vita dei nostri antenati.

Lo sta dimostrando al Bostel di Rotzo, un parco archeologico sulle pendici occidentali dell’altopiano di Asiago, a 850 metri, prospicente la Valdassa e la Valdastico, dove dagli anni Novanta l’università di Padova conduce varie campagne di scavi e dove fino al 7 settembre, con metodo e pazienza, sono all’opera una ventina di studenti dell’ateneo patavino, insieme a colleghi di Ferrara, coordinati da docenti e specialisti come Armando De Guio, direttore dei lavori, il suo vice Luigi Magnini, Laura Burigana, e Cinzia Bettineschi responsabili di settore. “Stempa”, il nome del progetto, è l’acronimo di “Scavo, telerilevamento, studio dei materiali e del paesaggio dell’altopiano di Asiago” e nel contempo vuole essere evocativo di una strega della tradizione popolare cimbra.

«Il progetto didattico – sottolinea Magnini – coinvolge i partecipanti in tutte le fasi di organizzazione e programmazione delle indagini, ma la nostra ricerca non è fine a se stessa: la divulgazione dei risultati e il coinvolgimento della comunità locale sono due degli obiettivi più importanti del nostro lavoro. Per questo siamo molto attivi con le pro loco e nel mondo dei social, su Facebook con l’account stempa.unipd, ma anche su Instagram e Youtube e stiamo per pubblicare un sito internet tutto nostro».

La risposta a questa visibilità è stata positiva visto che finora il sito è stato visitato in media da 20-25 appassionati al giorno, tutti accolti premurosamente con visite guidate e spiegazioni dettagliate. Un’altra procedura innovativa messa in atto da Stempa è l’esame preliminare del territorio avvenuto attraverso strumenti d’avanguardia: «Grazie all’analisi delle immagini satellitari – precisa Armando De Guio – ai rilievi con drone e alle prospezioni geofisiche, esami condotti con la collaborazione di vari docenti dell’università, siamo partiti con idee chiare su quali siano le zone più promettenti per le ricerche. Le attività si concentreranno sulla teleosservazione, la ricognizione e lo scavo stratigrafico, sulla documentazione grafica e fotografica (in 2D e 3D) e sullo studio dei materiali».

Grazie alle sofisticate rilevazioni, svolte in luglio, nel vecchio sito è stato individuato un nuovo settore di scavo dove ci si aspetta di trovare, a un metro circa di profondità, una nuova struttura abitativa del villaggio scoperto a metà del 1700 dall’abate Dal Pozzo e poi ristudiato nel 1913 dal Pellegrini, nel 1969 da Frescura e dal 1993 in poi dall’università di Padova con campagne più o meno regolari.

Il villaggio, della seconda età del ferro (qualche centinaio d’anni prima di Cristo), è composto da casette caratteristiche dell’area alpina retica, che avevano una parte seminterrata in muratura a secco, e un alzato ligneo a sostegno di un tetto in paglia. Su questa base, frutto di ricerche in loco e di varie ipotesi comparative con altri siti analoghi, è stato realizzato nel 1999 dall’università un facsimile di capanna che, assieme al museo di Rotzo e agli scavi aperti, fa da supporto alle visite. Ma se già molto si sa di questo villaggio, molto altro resta da scoprire:

«Dalla campagna in corso – specifica Magnini – che sta estendendo l’area di scavo e concludendo cantieri già iniziati in passato, ci aspettiamo di trovare
nuove strutture abitative e infrastrutturazioni che permettano di mettere in relazione le diverse unità abitative finora scoperte. Sappiamo infatti che qui al Castelletto ci sono varie casette, ma si sa ancora poco dell’assetto “urbanistico” del borgo. Il Pellegrini nel 1913 aveva individuato nell’area sommitale (di proprietà privata) una grande casa che ha interpretato come “sala del trono”: poteva essere un luogo di culto oppure un ambiente di ritrovo comune per la gente del villaggio. I nostri scavi hanno messo in evidenza mura di contenimento del terreno e sembra di poter individuare strutture di drenaggio e di utilizzo dell’acqua piovana per costituire riserve di approvvigionamento idrico, data la natura carsica del terreno dell’altopiano abbastanza consistenti, che dovevano prevedere un certo lavoro comune e quindi un’organizzazione sociale abbastanza strutturata».

La zona è di confine tra quella planiziaria e quella alpina, l’alfabeto, il tipo di strutture e buona parte della cultura materiale caratterizzano questo gruppo umano come appartenente alla cultura retica, ma sono stati trovati anche dei manufatti riferibili alla cultura veneta. «Si pensava – sostiene Magnini – fosse una zona di cerniera veneto-retica, ma oggi appare più probabile si tratti di un insediamento prettamente retico, che aveva frequenti contatti con l’area dei veneti, in un punto strategico di controllo per il commercio dei minerali dalla Valdastico».

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