Sublimi squarci d'anime nella mostra di Carla Rigato e Pia Camporese

Fino all’11 ottobre resta aperta la mostra “Affinità elettive” di Carla Rigato e Maria Pia Camporese, curata da Silvia Prelz. Una cinquantina di opere rivelano l’interiorità delle due artiste padovane che, pur molto diverse tra loro, furono legate da una profonda amicizia. 

Sublimi squarci d'anime nella mostra di Carla Rigato e Pia Camporese

Volti scuri e oscuri, mutilati, sfrangiati, velati, chiusi in una smorfia di dolore. Sprazzi di luce, campi gialli, onde azzurre, implosioni ed esplosioni rosse, bianche, nere: puro colore gettato, con moti di passione ribelle, sulla tela. Paradossalmente, queste immagini fanno parte di una stessa, profonda e articolata mostra dentro i percorsi artistici ed esistenziali di Carla Rigato e Maria Pia Camporese (scomparsa nel 2013).

A volerle ancora una volta insieme, dopo che nel 2010 si conobbero di persona in occasione della collettiva “Donne padovane nell’arte” proprio alla Cavour, sono stati il comune di Padova e l’associazione Xearte, di cui la Camporese faceva parte. Silvia Prelz ha curato l’impegnativo allestimento di “Affinità elettiveche rimarrà aperta fino all’11 ottobre (ingresso gratuito; 10-13 e 15-19, chiuso il lunedì) e che mette insieme una cinquantina di opere, facendole dialogare insieme. «Queste due artiste non potrebbero essere più dissimili – commenta la curatrice – Maria Pia Camporese usava l’arte soprattutto come terapia del turbamento interiore nutrito fin da bambina, alla ricerca di un’identità che le sfuggiva continuamente e che le rendeva difficile relazionarsi con il mondo. Carla Rigato, invece, ha avuto una vita totalmente diversa e nei suoi quadri la vitalità e l’energia emergono con prepotenza nella scelta delle tinte. Eppure entrambe sono unite da un forte sentimento di ribellione. Pia Camporese, per liberarsi dall’angoscia, dal male di vivere e dal dolore causato dalla lunga malattia che la condusse alla morte, prediligeva le tecniche miste». Recuperava addirittura oggetti smarriti nelle discariche, donando una nuova vita a barattoli, lamiere, legni... fondendoli sulla tela come particolari inevitabili del soggetto rappresentato. Il rosso e il nero – sangue e morte – si confondono nelle sue opere e rendono indefiniti i contorni di un volto, di un occhio, di una bocca sigillata da una vecchia gabbia arrugginita.

Per Carla Rigato, invece, tutto è l’opposto: «La sua ribellione interiore – continua Silvia Prelz – nasce dal rifiuto delle convenzioni sociali. Gettando il colore sulla tela, con un gesto quasi escatologico, rivela il proprio bisogno di libertà espressiva. Le sue sono opere senza spazio e senza tempo in totale libertà compositiva, pennellate dense e materiche rappresentano una memoria pregna di sensazioni, emozioni, suggestioni catturate e rimandate direttamente sulla tela dalla materia del colore». E proprio da questo sentimento condiviso nascono quelle “affinità” che hanno innescato la loro amicizia: «Nell’ultimo periodo, la Camporese dipingeva nello studio personale di Carla Rigato e lì, nella quotidianità del lavoro, il loro rapporto si è intensificato, trovando una forte intesa non solo poetica». Maria Pia Camporese, che rivelò fin da ragazza una spiccata sensibilità artistica, si diplomò in arti applicate, conseguendo poi la laurea in psicologia a Padova. Lavorò a lungo a Milano per agenzie pubblicitarie come direttrice artistica, ma poi ritornò nella città del Santo e approfondì gli studi allo Iuav dove si laureò in comunicazione visiva. La sua opera, alla ricerca costante di uno stile definito, l’ha resa un’artista versatile, in grado di percorrere numerose correnti artistiche alla ricerca di una propria inconfondibile libertà espressiva da cui sprigionasse l’interiorità umana.

Feriscono, per la loro struggente angoscia, alcuni quadri presenti alla Cavour: sono i volti di alcuni pazienti dei manicomi e dei reparti psichiatrici che la Camporese frequentava come volontaria. Gli sguardi assenti si confondono tra pagine slavate dalla stilografica e ingiallite dal tempo di lettere e pensieri che l’artista ha voluto inserire nell’opera. E poi le sculture e le opere che parlano di lei: una fragile bimba d’argilla con i pugni chiusi e il volto corrucciato in un’espressione contrariata; un volto quasi necrotizzato, con gli occhi chiusi e l’immagine di un Cristo deposto dalla croce che s’intravede lungo la linea del naso e delle orbite. E poi ancora visi abbandonati su colli spezzati dal peso dell’esistenza, occhi strabici e sbilenchi quasi a non riuscire a mettere a fuoco il senso delle cose. Questa è Pia Camporese, questa la sua poetica di dolore.

Carla Rigato, che dal 2011 espone alla biennale d’arte di Venezia, è presente all’Expo Milano Fabbrica pensante a palazzo Giureconsulti e in Expo Venice al padiglione Acquae, a Venezia, con il progetto “I fiumi della vita”. Numerose in questi anni le personali e le presenze internazionali. Alla Cavour le sue tele hanno il compito di smorzare il tragico e irreversibile sentimento della Camporese per riequilibrare l’intensità di una mostra che merita di essere visitata, non solo una volta.

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