Ritorna l’impresa, grazie alle donne e agli stranieri

La voglia di fare impresa nel nostro paese sembra tornata. I dati Istat dicono però che la strada da fare per tornare ai livelli pre-crisi è lunga e difficile. Solo lo 0,4% dei nuovi imprenditori ha avviato un'attività in settori ad alto contenuto tecnologico.

Ritorna l’impresa, grazie alle donne e agli stranieri

La gravissima crisi economica durata dal 2007 al 2014 – peggiore di quella del 1929 – ha avuto tra le tante disastrose conseguenze quella di ridurre del 20-25 per cento il tessuto produttivo italiano. Migliaia e migliaia di piccole e grandi aziende hanno così chiuso i battenti, e centinaia sono state acquistate, a prezzi stracciati, da multinazionali estere. 
Qualcuno, cinicamente, ha affermato che in tal modo è stata fatta “pulizia”, lasciando sul mercato soltanto i soggetti in grado di competere. È una tesi che può valere in piccola parte. 
In realtà molte aziende prestigiose per marchio, per tecnologia, per storia sono state travolte dalla crisi non per ragioni produttive ma per squilibri finanziari, per errate scelte di investimento, per discutibili programmi commerciali. Queste sono state acquisite da realtà italiane – poche – e la quasi totalità da gruppi esteri. 

Il risultato finale è stato che abbiamo perso campioni produttivi con una storia di successi, brevetti e marchi prestigiosi, mercati consolidati. A questo punto la domanda è: come si può ricostituire il tessuto produttivo? E chi potrebbe farlo?
Un recente report dell’Istat dal titolo "I profili dei nuovi imprenditori e delle imprese high-growth", risponde a questa domanda con dati relativi al 2015 il primo anno che ha mostrato una timida ripresa. 

Nell’anno in parola si è registrata la nascita di 375 mila nuove imprese (60 mila in più rispetto al 2014).

I nuovi imprenditori per il 55,8 per cento sono lavoratori in proprio, mentre il restante 44,2 per cento sono imprenditori che hanno avviato aziende (150 mila) con dipendenti. 

In questo contesto si rileva un ruolo significativo delle donne e degli stranieri.

Le prime sono quasi il 30 per cento dei nuovi imprenditori e la metà di queste hanno aperto aziende nei settori ad alto contenuto tecnologico e di conoscenza. Cresce poi il ruolo degli imprenditori di origine straniera (106 mila). Rispetto al 2014, il loro peso passa tra i lavoratori in proprio dal 10 al 15,1 per cento e dall’11 al 13,1 per cento delle imprese. 
Le nuove 12 mila imprese ad elevata crescita (high-growth), rispetto alle altre, si caratterizzano per l’orientamento verso settori ad alto contenuto tecnologico-conoscitivo, un livello di formazione più avanzato e più alto assorbimento di manodopera. 

Se si pone il focus sul solo settore industriale, risulta però che una buona parte delle nuove imprese si colloca nel comparto delle costruzioni (16,3 per cento), mentre soltanto lo 0,4 per cento degli imprenditori ha avviato una attività in settori ad alto contenuto tecnologico. Migliore la situazione nei servizi dove le nuove attività imprenditoriali appaiono assai vivaci e diversificate in comparti a maggior valore aggiunto.  

La strada da percorrere per ricostituire il tessuto produttivo italiano (ed in particolare quello manifatturiero, che è la colonna portante della nostra economia) è ancora lunga e difficile.

E non è detto che si riuscirà a recuperare integralmente un irripetibile patrimonio di conoscenze, di professionalità, di esperienze brutalmente cancellato dalla peggior crisi dell’ultimo secolo.

Renzo Cocco

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