1908-2018. Difendere il popolo

Il settimanale diocesano compie 110 anni e li festeggia presentandosi ai lettori in una veste grafica profondamente rinnovata a partire da domenica 28 gennaio. Cambiano le forme, ma rimane identico l’impegno scritto nella nostra testata: al servizio della chiesa padovana, del nostro popolo di lettori, della verità

1908-2018. Difendere il popolo

Il 5 gennaio 1908 vedeva la luce il primo numero della Difesa del popolo.

Voluto dal vescovo Pellizzo, il nuovo giornale raccoglieva l’eredità di due più antiche testate e si presentava ai suoi lettori con un nome e un programma “da battaglia”.

Centodieci anni fa, “difendere il popolo” significava sostanzialmente due cose: ammonire sui rischi di una deriva morale che il mondo cattolico già vedeva in atto, come frutto di una modernità figlia della rivoluzione industriale e dei profondi mutamenti culturali che dall’Europa del nord andavano estendendosi anche al nostro paese; e parallelamente incoraggiare una efficace presenza nel mondo sociale, del lavoro, dei giovani, capace di porre un argine al nascente movimento socialista pur fermandosi alle porte di quell’impegno politico che ai cattolici era ancora precluso in un’Italia che aveva costruito la sua unità conquistando con le armi lo stato pontificio e riducendo il papa entro le mura del Vaticano.

Dieci anni fa, nel festeggiare il centenario della Difesa, di questa lunga e preziosa storia abbiamo fatto memoria in convegni, pagine, pubblicazioni che sono ancora oggi disponibili sul nostro sito. Lungo tutto il Novecento, questo giornale ha rappresentato sia per la chiesa di Padova sia per la società veneta un patrimonio di cui non è facile oggi cogliere appieno la portata. Basti pensare che per decenni è stato – fatta salva forse qualche famiglia altolocata – l’unico giornale letto e diffuso in modo capillare nei nostri paesi, grazie all’impegno di una schiera di propagandisti e all’azione delle parrocchie.

Le sue pagine si sono incaricate di un’opera di mediazione culturale dal valore inestimabile, a servizio di una società che andava pian piano uscendo dall’analfabetismo, mantenendo al tempo stesso il legame con il vescovo e con la vita di una diocesi ampia e complessa come la nostra. Due versanti ugualmente preziosi: perché come cristiani non possiamo non nutrire una particolare attenzione al mondo in cui viviamo, ai fenomeni che lo attraversano, agli squilibri e ai problemi sociali che lo caratterizzano; e perché in ambito ecclesiale «la comunicazione crea comunione», ci fa sentire parte di un unico cammino pur nella specificità del luogo in cui viviamo.

Quanto di quelle intuizioni originarie e del ruolo svolto lungo il secolo scorso possiamo dire sia ancora oggi attuale?

Certo da allora molto è cambiato, nella società e anche nel mondo della comunicazione. Ma io credo che, se sappiamo andare oltre la superficie per cogliere il senso profondo delle cose, quell’impegno a “difendere il popolo” che abbiamo scritto nel nostro nome e nella nostra storia non abbia perso nulla della sua attualità.

Anzi, la stagione odierna appare semmai più vicina a quella che vide la nascita della Difesa di quanto non lo sia ai decenni che abbiamo alle spalle, perlomeno per un dato di fondo: i cattolici oggi, in Italia e non solo, sono tornati a essere minoranza.

Che non significa per forza essere insignificanti, e non solo perché comunque la cultura italiana è intrisa di cattolicesimo, anche quando fa di tutto per disconoscerlo. Riconoscersi minoranza può essere piuttosto il primo passo per recuperare il senso evangelico dell’essere lievito, “impastati” con la società in cui viviamo, senza pretese di dominarla e anzi con la voglia di mettersi al suo servizio, guidati dalla certezza che nel vangelo è scritta una parola di verità che rende la vita dell’uomo migliore.

In questi 110 anni, lo abbiamo già detto, molto è cambiato anche nel mondo della comunicazione: prima la radio, poi la televisione, infine internet hanno stravolto le nostre abitudini e hanno costretto la carta stampata a ripensare più e più volte la propria identità. Oggi siamo alla vigilia di un nuovo cambiamento, che prenderà forma a partire dal numero di domenica 28 gennaio.

“Difendere il popolo”, crediamo significhi oggi saper offrire una proposta di libertà dalle tante schiavitù che vediamo crescere attorno a noi e che mortificano il nostro essere uomini.

Farlo attraverso un giornale, significa e significherà sempre di più saper offrire storie autentiche, idee solide, percorsi concreti in cui potersi riconoscere. Meglio, in cui poter riconoscere la bellezza del messaggio cristiano e la sua importanza per noi: in questo tempo e in questi luoghi che ci sono dati, senza fughe utopistiche e senza volgere gli occhi all’indietro, al “bel tempo che fu” (spesso solo nei nostri ricordi).

È una sfida importante e appassionante, a maggior ragione in un momento in cui la nostra diocesi ha deciso di rinunciare alla sua presenza nel campo televisivo e radiofonico con la definitiva uscita da Telechiara e la vendita di Blu-RadioVeneto concretizzatasi nelle scorse settimane. Scelte dolorose ma inevitabili, in un contesto sempre più competitivo e difficile da sostenere economicamente per una chiesa.

Rimane internet, la nuova grande piazza mediatica in cui anche come settimanale diocesano siamo presenti con una costante crescita di visitatori. E rimane la carta stampata, questo giornale. Un mezzo antico, ma tutt’altro che sorpassato.
Almeno nella misura in cui – e noi ne siamo convinti – non vogliamo arrenderci all’idea che basti qualche riga letta su un telefono a farci comprendere davvero la complessità (e la bellezza) della vita.

Guglielmo Frezza

Cosa leggevano i nostri trisavoli sul primo numero della Difesa, 110 anni fa

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