Alle scuole paritarie servono i fatti. Basta parole

La scuola paritaria veneta è in agonia. Se non s’interviene in modo deciso, tempestivo e strutturale il suo destino è segnato. Ai finanziamenti assolutamente inadeguati, enormemente in ritardo e ora addirittura incerti, si aggiunge l’annuncio della regione di un possibile taglio del 60 per cento dei contributi sull’infanzia e del 100 per cento del Buono scuola. Eppure, sulla scuola paritaria i pareri sono, o meglio, sembrano tutti concordi, non fosse altro per il gran risparmio che queste scuole comportano per lo stato.

Alle scuole paritarie servono i fatti. Basta parole

Lo si ripete da molto, troppo tempo.
Lo hanno scritto anche i nostri vescovi all’inizio di novembre in un appello molto preoccupato ai parlamentari della nostra regione, e la commissione per la scuola della Conferenza episcopale Triveneto sta, peraltro, portando avanti in tutti i modi e in tutte le sedi la battaglia per la scuola paritaria.
La preoccupazione è stata ribadita qualche giorno fa dalle organizzazioni delle scuole paritarie del Veneto, dall’infanzia alla primaria, alla secondaria e agli enti di formazione professionale che in una nota hanno denunciato la situazione dei finanziamenti assolutamente «inadeguati, enormemente in ritardo e ora addirittura incerti!», visto l’annuncio della regione di un possibile taglio del 60 per cento dei contributi sull’infanzia e del 100 per cento del Buono scuola. Eppure, sulla scuola paritaria i pareri sono, o meglio, sembrano tutti concordi, non fosse altro per il gran risparmio che queste scuole comportano per lo stato.

«È un patrimonio formativo, culturale, sociale, economico da tutelare e promuovere».
È l’affermazione che si sente spesso fare e che riesce a raccogliere grandi e trasversali consensi. I contrari sono pochissimi e forse più per convenienza che per convinzione. In un tempo di grande pluralismo, come l’attuale, trovare una posizione in grado di raccogliere così ampi favori è raro. Nonostante questo, l’assurdo è che siamo ancora qui, come voci delle comunità locali, a “elemosinare” da chi ci governa in regione e nello stato una soluzione che dia a queste scuole una prospettiva seria, credibile e serena di futuro.

Eppure tutti dicono di aver fatto la propria parte: regione, parlamentari, governo.
O qualcosa si sblocca, oppure questi istituti, che rappresentano un pilastro dei servizi di educazione, istruzione e preparazione alla vita lavorativa dei giovani del Veneto, rischiano la chiusura o la drastica riduzione con licenziamenti di lavoratori e l’aumento dell’instabilità sociale.
Il conto più salato sarebbe pagato dagli utenti (i bambini e i giovani) e dalle loro famiglie che non possono sopportare ulteriori aumenti di rette, a fronte peraltro di altre famiglie che possono godere gratuitamente (o quasi) dei medesimi servizi statali.

Non è solo questione di soldi

Certo la questione dei finanziamenti (tempi ed entità) è il cuore del problema, ma la soluzione va pensata in un contesto di progetto complessivo che tenga conto della peculiarità veneta, con le scuole paritarie, in particolare dell’infanzia, che sono spesso le uniche presenti sul territorio.

C’è una politica complessiva da ripensare, e urgentemente.
Certo la questione dei finanziamenti (tempi ed entità) è il cuore del problema, ma la soluzione va pensata in un contesto di progetto complessivo che tenga conto della peculiarità veneta, con le scuole paritarie, in particolare dell’infanzia, che sono spesso le uniche presenti sul territorio.
In tale quadro, accanto all’introduzione dei costi standard, la regione dovrebbe finalmente aprire con il governo un negoziato per ottenere maggiore autonomia in alcuni ambiti, tra cui l’istruzione.
Questo consentirebbe, anche, di riconoscere la specificità del “caso Veneto”. Un’altra proposta riguarda il riconoscimento della possibilità anche per gli insegnanti delle paritarie di accedere al fondo per l’aggiornamento professionale previsto dalla Buona scuola.

Come direttori dei settimanali diocesani condividiamo e sosteniamo, non da ora, questa battaglia di civiltà e libertà.
Chiediamo a tutti (nessuno escluso) di lasciar perdere le parole e mettere in campo finalmente una soluzione che apra per queste scuole una nuova stagione. Il tempo del rimpallo è finito. Ora servono i fatti.

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