Ballottaggi, la vendetta è servita nell'urna

Se le elezioni amministrative 2016 passeranno alla storia per il trionfo del Movimento 5 Stelle a Roma e Torino, anche in Veneto ci lasciano dei risultati da soppesare con attenzione. Anche perché proiettano sulle prossime scadenze elettorali – dal referendum alle politiche – un'ombra inquietante: i ballottaggi non rischiano di diventare un boomerang, nella misura in cui si vota più "contro" qualcuno che "per" il candidato migliore?

Ballottaggi, la vendetta è servita nell'urna

Nell’attesa che gli analisti ci offrano qualche dato su cui ragionare più in profondità, un paio di tendenze di fondo appaiono già chiare e potrebbero essere utilmente messe a tema dai partiti nel corso dell’estate.

La prima riguarda il comportamento delle fasce di elettorato giovanile.
A Roma, giusto per citare un dato già emerso, al primo turno quasi la metà degli elettori dai 18 ai 35 anni ha scelto Virginia Raggi.
Poco alla volta, anno dopo anno, le schiere di votanti nati dopo Tangentopoli si infittiscono. Sono elettori de-ideologizzati, cresciuti fuori dal recinto dei partiti tradizionali e che si avvicinano alla politica con una forte (e tutto sommato comprensibile, visto lo scenario che hanno di fronte agli occhi) diffidenza.
Esprimono un voto mobile, perennemente da riconquistare, e che oggi va premiando in molti paesi d’Europa movimenti estranei alla tradizionale dialettica tra conservatori e progressisti, entrambi ritenuti incapaci di dare risposte ai problemi che la crisi ci ha messo dì fronte e che colpiscono ferocemente proprio le nuove generazioni.

I 5 stelle in Italia, Podemos in Spagna, Syriza in Grecia – solo per citare i casi più eclatanti e avendo ben chiare le differenze – sono tutti movimenti giovani, con una classe dirigente giovane e un elettorato giovane: magari non avranno i numeri per governare, ma hanno già voti sufficienti per condizionare i vecchi equilibri fino a metterli in crisi. 

Fosse solo per questo, è evidente che con i giovani la politica deve fare i conti: se si lascia che il peso della crisi si scarichi in gran parte sulle loro spalle, se li abbandoniamo a una vita precaria e priva di un orizzonte di futuro possibile da realizzare, se i partiti tradizionali non sanno prestare ascolto alla richiesta di nuovi stili di vita più equi e sostenibili che viene dal mondo giovanile, è sempre più difficile sperare di ottenere poi il loro voto.

A gonfiare le vele dei 5 stelle, naturalmente, non c’è solo il voto giovanile.
C’è un’area di protesta che si esprime tradizionalmente nelle urne, c’è l’impatto di internet sulle strategie di comunicazione, ci sono i mille casi di malgoverno lampanti e c’è – non dimentichiamolo mai – l’impatto sempre più evidente dell’astensionismo che svuota soprattutto i serbatoi elettorali dei partiti tradizionali.

Ballottaggi, un voto "contro" e non "per"
Tra i tanti motivi che si possono chiamare in causa, ve n’è poi uno che attiene al meccanismo elettorale e che si è manifestato in maniera lampante domenica scorsa. Se il movimento di Grillo ha prevalso in 19 dei 20 ballottaggi in cui era presente con i suoi candidati, è anche perché si è trovato in dote, servito su un piatto d’argento, il frutto avvelenato di vent’anni di bipolarismo malato, fatto di coalizioni costruite non “per” ma “contro”: che fosse contro Berlusconi perché “eversore della democrazia”, o contro “i comunisti” perché mangiano i bambini e ci portano via la casa, poco importa.

Alla fine, come spiegava l’ex sindaco di Roma Alemanno, «Non voto per la Raggi, voto contro il Pd». Così la vendetta è servita. 

Se la frase può far dubitare del senso democratico di chi ha esercitato un ruolo pubblico di così alto livello, è comunque un ottimo indicatore dello stato d’animo (politicamente sbagliato, certo, ma umanamente comprensibile) con cui milioni di elettori vanno oggi al voto. Non per scegliere il candidato migliore, ma per punire quelli che dovevano essere gli avversari politici e sono invece diventati, nella narrazione condivisa di un ventennio, i nemici da combattere in una guerra del bene contro il male.

Matteo Renzi, anche per ragioni anagrafiche, da questa contesa ha sempre mostrato di volersi tenere alla larga e ha anzi imbandito più di una tavola con Berlusconi.
Ma l’onda lunga della virulenza rischia di travolgere anche lui, a maggior ragione per la scelta di legare alla vittoria del prossimo referendum sulla costituzione la sopravvivenza stessa del governo.
Il rischio palpabile, insomma, è che a ottobre si voti ancora una volta pro o contro un leader politico, in una conta dissennata e dimentica della vera posta in palio, che è il testo base della nostra civile convivenza democratica.

Non meno preoccupante è poi l’eventualità che il prossimo governo sia figlio dello stesso meccanismo
Il ballottaggio previsto dall’Italicum, fortemente voluto da Renzi per evitare di finire ostaggio di una coalizione di partiti e partitini come successe a Prodi, rischia infatti di diventare un boomerang per un Pd sì vincente (almeno sulla carta, almeno a oggi) ma lontano dalla soglia del 40 per cento, specie se al ballottaggio dovessero arrivare proprio i 5 stelle.
Dimostrando così, ancora una volta, che le leggi elettorali fatte “su misura” non ci azzeccano quasi mai. E spesso diventano una trappola (come scoprì amaramente Berlusconi quando dieci anni fa volle reintrodurre il proporzionale) proprio per chi le ha inventate. Meglio, molto meglio, dedicare tempo ed energie ai problemi reali della gente.

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