Diaconato alle donne? Una chiesa, due polmoni

Papa Francesco, lo riconoscono tutti, è un maestro nella comunicazione pastorale. Il suo stile, il suo modo di esprimersi, suggestivo, concreto, diretto, è sempre controllato, e persino sofisticato, soprattutto nel mantenere le posizioni tradizionali sui punti controversi. Non mette mai in questione la dottrina, ma non per questo però elude i problemi, le domande, le provocazioni. E così è stato anche di fronte al tema del diaconato alle donne.

Diaconato alle donne? Una chiesa, due polmoni

Papa Francesco, lo riconoscono tutti, è un maestro nella comunicazione pastorale.
Il suo stile, il suo modo di esprimersi, suggestivo, concreto, diretto, è sempre controllato, e persino sofisticato, soprattutto nel mantenere le posizioni tradizionali sui punti controversi. Non mette mai in questione la dottrina, ma non per questo però elude i problemi, le domande, le provocazioni. Dialoga infatti volentieri con tutti. A volte improvvisa o introduce intercalari. Non disdegna nemmeno la battuta, spesso arguta e intelligente.

Ad esempio una volta parlando delle donne nella chiesa osservò che devono essere valorizzate, non clericalizzate.
Precisazione quanto mai pertinente e opportuna. Recentemente alla domanda di una religiosa sulla possibilità di conferire il diaconato alle donne papa Francesco ha risposto mettendo in guardia la religiosa anzitutto dalla tentazione del clericalismo. Non per questo ha però negato la sua disponibilità ad approfondire il tema e a anche creare una commissione per verificare la possibilità e l’opportunità di istituirlo. «Una chiesa senza le donne – aveva affermato Francesco in altra circostanza – è come il collegio apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella chiesa non è soltanto la maternità, ma è più forte: è proprio l'icona della Vergine, della Madonna, quella che aiuta a crescere la chiesa!».

Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, documento programmatico del suo pontificato, Francesco ha scritto: «La chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri».
«C’è ancora bisogno – aveva poi aggiunto – di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella chiesa. Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità pongono alla chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere».
E concludendo si era impegnato ad ampliare la partecipazione femminile «lì dove si prendono decisioni importanti nei diversi ambiti della chiesa».

In riferimento a un’eventuale istituzione del diaconato anche per le donne due sono i problemi principali che si pongono all’attenzione e alla riflessione della chiesa.

Il primo, di ordine dottrinale, teologico, chiama in causa la fede e il sacramento, essendo il diaconato il primo grado dell’ordine sacro.
La maggiore difficoltà al riguardo è costituita dalla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II ai vescovi della chiesa cattolica sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi, secondo il papa, soltanto agli uomini.
Sul punto l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede card. Ratzinger ha preso formalmente posizione dichiarando trattarsi di dottrina definitiva e infallibile: «Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella tradizione della chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cf. concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 25,2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il sommo pontefice, nell’esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cf. Lc 22,32), ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede».
Nel merito il card. Martini ha osservato però che «è da vedere come, con questa lettera e malgrado le difficoltà che potrà suscitare, è ancora possibile sia un cammino di dialogo ecumenico, sia soprattutto un cammino in cui mostrare presenza e missione della donna a tutto campo. Rispetto a un documento di questo tipo, che sembra chiudere una via, come già altri in passato, mentre in realtà hanno favorito un ripensamento teologico e pratico che ha fatto superare certi scogli e ha fatto comprender meglio la natura e la forza della presenza della donna nella chiesa, io penso che uno spazio rimanga aperto».

Il secondo problema, di ordine più pratico, pastorale, chiama in causa non il sacramento, ma il ministero, il servizio ecclesiale.
La difficoltà principale in questa direzione è come riformare l’istituzione-chiesa, la sua organizzazione. Come aiutarla a respirare con due polmoni, maschile e femminile, non con uno soltanto, ovviamente quello maschile.
Come cioè valorizzare di più e meglio le doti e le qualità delle donne nella chiesa. Come riprendere ad esempio il discorso e la riflessione sui ministeri ecclesiali e l’opportunità di una loro istituzione formale. Problema quanto mai urgente, ma di non facile realizzazione, non fosse altro per il fatto che oltre al tema della formazione pone anche quello del sostentamento economico di quanti, uomini o donne, si dedicassero a tempo pieno al servizio della chiesa.

La strada, come si può intuire, è ancora lunga.
Per fare un esempio, nel luglio 2014, in occasione della nomina dei nuovi membri della Commissione teologica internazionale, il numero delle teologhe è salito da due a cinque su un totale di trenta. Per dire quanto timidi e incerti siano i segnali nella valorizzazione della donna nella chiesa. E ciò in un tempo in cui – dispiace dirlo – la società civile è molto più avanti. Non tanto nel riconoscimento formale della dignità della donna, quanto nella sua valorizzazione concreta a tutti i livelli e in tutti i settori della vita sociale, professionale e politica.
A quando dunque un adeguamento o quanto meno un dibattito franco e aperto anche nella chiesa?

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