Gambe e cuore per la pace

Un migliaio di persone si è data appuntamento ad Agna nella Giornata mondiale del migrante e del rifugiato per partecipare ai laboratori del mattino e alla marcia del pomeriggio, unendo generazioni e religioni in un comune impegno di fraternità. L'appello del vescovo ai residenti: «Non accettate di scendere in guerra, poveri contro poveri per manovre di chi usa gli uni e gli altri». L'editoriale del direttore Guglielmo Frezza.

Gambe e cuore per la pace

«Camminando insieme, oggi, pubblicamente, marciando sulle nostre strade, convocando chiunque si voglia far nostro amico e fratello in nome della pace, abbiamo voluto dire chiaramente che la nostra chiesa diocesana di Padova lavora per la pace, sceglie le vie della pace, si rende disponibile per tutte le azioni di pace. E non può essere diversamente!».

Inizia così la sua omelia il vescovo Claudio, al termine della marcia che ha visto un lungo serpentone snodarsi per le vie di Agna. Oltre mille persone: famiglie, tanti scout, giovani e meno giovani con le bandiere multicolori della pace, italiani e stranieri, cristiani e musulmani, sindaci e amministratori, operatori pastorali e volontari delle associazioni. Dal municipio alla chiesa, troppo piccola per accogliere tutti. La marcia per la pace, quest'anno, si incrocia con la Giornata del migrante e del rifugiato e da Padova scende nel vicariato che più di ogni altro si confronta quotidianamente col tema delle migrazioni. A pochi chilometri da qui, le due ex basi militari di San Siro di Bagnoli e Conetta rappresentano un nervo scoperto: troppe persone insieme perché oltre a un posto letto si possano offrire davvero percorsi di alfabetizzazione e occasioni di inserimento; tempi troppo lunghi per non suscitare disagio e non alimentare proteste in chi magari da più di un anno attende di conoscere quale sarà il suo destino.

«Concentrazione inopportuna», lo ricorda anche il vescovo, a fronte della quale «capisco anche alcune reazioni scomposte». Ma assieme alla comprensione e al ringraziamento per gli sforzi fatti c'è un invito preciso: «non accettate di scendere in guerra contro i poveri: poveri contro poveri per manovre di chi usa gli uni e gli altri».

Non è possibile soffiare sulle paure per vendere sicurezze, né continuare a contrapporre italiani e stranieri, noi e loro.

Non è possibile, se davvero vogliamo essere costruttori di pace. E il più forte messaggio simbolico che arriva da Agna, in una domenica di sole e di festa, è proprio questo: il desiderio di pace ci accomuna, oltre ogni differenza, perché è scritto nel cuore dell'uomo. Può sembrare utopia, e forse lo è. Ma è un'utopia lucida, e tutt'altro che ingenua. Ad alimentarla – in una giornata che non ha messo in moto solo le gambe, ma il cuore e la testa dei partecipanti – ci sono le testimonianze proposte nei laboratori del mattino: l'Africa abbandonata che racconta il direttore di Nigrizia Efrem Tresoldi, l'Africa ricca di speranza che ha incontrato nelle basi di Cona e Bagnoli l'assistente spirituale padre Lorenzo Snider, il dialogo tra culture e religioni che si va dipanando nel nostro Veneto, frutto anche di quel cammino ecumenico che mons. Giovanni Brusegan va tessendo da anni.

E proprio una delle condivisioni dei laboratori, presentate all'inizio della marcia, regala forse la sintesi migliore di tanto impegno. Mohamed sale sul palco e prende la parola in un ottimo italiano:

«Come credenti nell'unico Dio, riconosciamo che il desiderio di pace è parte integrante della nostra esperienza di fede. Siamo vicini alle vittime di ogni fondamentalismo. Sogniamo un mondo di pace per i nostri figli, e siamo impegnati a realizzarlo. Il primo passo? Avvicinarci, conoscerci, sconfiggere i pregiudizi reciprochi. Perché viviamo nello stesso quartiere, magari nello stesso condominio, ma rischiamo di condurre due esistenze parallele».

Viviamo nello stesso mondo, verrebbe da aggiungere, ma continuiamo a far finta che non sia così. 

La marcia può partire. Alla fine, prima di entrare in chiesa, c'è un grande cartellone su cui scrivere il proprio nome – tutti insieme, tutti mescolati – perché sia poi portato all'offertorio come segno dell'impegno a "profumare di pace" la nostra casa comune. Senza nasconderci le difficoltà e senza pretendere di risolverle con un tocco di bacchetta magica. Ma con la consapevolezza che "andare in pace" non è solo una formula di rito: è uno stile di vita, un preciso sguardo sul mondo e una responsabilità che interpella tutti. Nessuno escluso, e tutti insieme.

Guarda il racconto in immagini di Giorgio Boato:
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