L’etica, prima delle leggi

La triste vicenda del ministro Guidi insegna che regole più stringenti e pene più severe certamente aiutano. Ma è sul terreno di un’etica condivisa – e concretamente praticata – che si gioca la vera battaglia per fare dell’Italia un paese “normale”, ed è su questo terreno che i cattolici sono chiamati, oggi come in ogni epoca, a dare testimonianza del fatto che “un altro mondo (e un altro paradigma di valori) è possibile”. 

L’etica, prima delle leggi

Il fatto

Il passaggio forse più delicato per il governo Renzi inizia giovedì 31 marzo, all’indomani dell’arresto di sei persone, tra cui cinque funzionari e dirigenti dell’Eni, in Basilicata.
L’indagine della procura di Potenza, che vede anche una sessantina di indagati, riguarda anche il “Centro oli Tempa Rossa” della Total, in costruzione in provincia di Matera. Se ne occupa anche Gianluca Gemelli, imprenditore e compagno del ministro dello sviluppo economico Federica Guidi.
Una loro conversazione telefonica, intercettata dai magistrati, è eloquente: «Dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato (..) quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte. (..) E a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa... Ehm... Dall’altra parte si muove tutto!».
L’emendamento in questione, inserito nella legge di stabilità 2015 e approvato all’ultimo momento nel dicembre 2014, è un enorme favore alle imprese di Gemelli, oggi indagato per concorso in corruzione e millantato credito. Poche ore dopo la diffusione delle intercettazioni, il ministro si dimette pur dicendosi assolutamente certa «della mia buona fede e della correttezza del mio operato».
Si riapre la dura polemica tra maggioranza e minoranza nel Pd, mentre Renzi sfida i giudici: «Le indagini a Potenza hanno la cadenza delle Olimpiadi. Chiediamo di andare a sentenza nei processi e non con le anticipazioni sui giornali».

Il commento

Federica Guidi è – o meglio, era – un’imprenditrice prestata alla politica, secondo definizione che dopo gli scandali della Prima repubblica doveva essere garanzia di specchiata virtù.
Proviene da una famiglia di industriali, è stata alla guida dei giovani di Confindustria. Che anche il suo compagno abbia avuto ruoli di responsabilità in Confindustria e abbia interessi nell’industria, in questo caso l’industria del petrolio, non dovrebbe sorprendere.
Da che mondo è mondo gli imprenditori si sposano tra loro, e così i giornalisti, gli insegnanti, i medici, gli avvocati. Questione di scuole frequentate in gioventù, di ambienti professionali, di circoli e di relazioni familiari.
Se però al compagno in questione – oltretutto oggi indagato per corruzione e traffico di influenze illecite – si annuncia di avere ottenuto che nottetempo arrivi il via libera a un emendamento che ne favorisce gli affari, ecco che torna a materializzarsi il tema mai risolto del conflitto d’interessi.

Sono almeno tre le considerazioni che questa triste vicenda induce a fare.
La prima: per l’ennesima volta vediamo sfatata l’idea che il problema della corruzione fosse “solo” della politica, o meglio dei politici di professione, e che sarebbe stato risolto una volta per tutte con la discesa in campo della cosiddetta società civile e la fine dei “vecchi” partiti.
La seconda, che della prima è logico corollario: regole più stringenti e pene più severe aiutano, e dunque speriamo che la legge sul conflitto d’interessi licenziata a febbraio dalla Camera venga presto approvata anche in Senato.
Ma è sul terreno di un’etica condivisa – e concretamente praticata – che si gioca la vera battaglia per fare dell’Italia un paese “normale”, ammesso che la correttezza sia davvero la normalità, ed è su questo terreno che i cattolici sono chiamati, oggi come in ogni epoca, a dare testimonianza del fatto che “un altro mondo (e un altro paradigma di valori) è possibile”.

Durante gli anni ruggenti di Berlusconi il tema del conflitto d’interessi era al centro dei quotidiani attacchi delle opposizioni, e certo quello dell’ex cavaliere è stato “il” conflitto per eccellenza, perché quando una parte politica possiede una fetta rilevante dei mass-media di un paese è inevitabile quantomeno sospettare che questo finisca per condizionare l’orientamento dell’opinione pubblica e dunque la vita stessa di una democrazia.
Ma il tema – ed è questa la terza considerazione – va declinato al plurale e colto in tutte le sue sfaccettature.
Una delle più perniciose, che la vicenda del ministro Guidi ben mette in luce, è quella che Francesco Bonini in un intervento sul nostro sito internet definisce la “reciprocità di favori”.

«Tu fai una cosa per me, e io ne faccio una per te»: tra vicini di casa rende la vita migliore, ma se la rete di rapporti personali, familiari, associativi viene eretta a sistema di governo – prima delle regole, della legge, della necessaria trasparenza – ecco che il bene comune cede il passo all’interesse di parte.
È un comportamento vizioso da cui, certo in misura e con efficacia diverse, pochi possono dirsi davvero immuni. E come sempre capita in questi casi, a pagare il conto sono i più deboli: conflitti d’interessi e reciprocità di favori non solo alimentano affari poco puliti, spesso a danno delle casse pubbliche, ma finiscono per penalizzare i meritevoli a vantaggio di chi ha il cognome giusto, frequenta il club giusto, ha le entrature giuste.
Sono insomma una gabbia, un ostacolo alla crescita del paese non meno evidente e dannoso di quelle pastoie burocratiche che il governo dice di voler rimuovere per ridare slancio all’economia italiana.

«È prassi corretta di questo governo – sottolineava nei giorni scorsi un economista stimato come Leonardo Becchetti, animatore di una generosa campagna contro il gioco d’azzardo di cui ci siamo più volte occupati – il chiedere le dimissioni dei propri membri di fronte a situazioni conclamate. È un indicatore di serietà e un modo per selezionare la classe politica».
Dato atto a Renzi della tempestività dimostrata, forse possiamo aggiungere un auspicio ulteriore: che uguale fermezza venga anche dalla società civile, dalle associazioni di categoria, dalle università, dai “salotti buoni” che certi potenti sono soliti frequentare e via elencando.
Che non avvenga, in altre parole, che alle dimissioni dal governo di chi si macchia di comportamenti discutibili, seguano un nuovo ruolo in Confindustria, una poltrona dorata in un consiglio d’amministrazione, magari la presidenza di un premio letterario o di un’associazione culturale.
Non basta chiedere alla politica di cambiare, se ciascuno di noi – e in primo luogo chi si considera classe dirigente – si limita poi a nascondere la testa sotto la sabbia, aspettando che passi la tempesta.

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