La lezione di De Gasperi per l'Italia e l'Europa di oggi

Il ricordo di Alcide de Gasperi nell’anniversario della sua scomparsa (19 agosto 1954) corrisponde a un dovere sul piano storico, ma costituisce anche una occasione per considerare la grande attualità della sua testimonianza umana e politica, sia in politica interna sia per il contributo che diede all'unificazione europea.

La lezione di De Gasperi per l'Italia e l'Europa di oggi

De Gasperi rifuggiva dalla personalizzazione della politica, dalla politica spettacolo e anche alla comunicazione non dava particolare attenzione, e tanto più era lontano da ogni rappresentazione trionfalistica dei fatti.
Egli era attento alla realtà, e concentrava il suo impegno nel ricercare di dare risposte ponderate e insieme concrete ai problemi reali della comunità. Per lui la politica era autenticamente servizio, come testimoniò con il pensiero e con l’azione: una concezione della democrazia nutrita di grandi ideali e dall’identità ben definita, parlamentare, non solo formale, in cui all’impegno per la libertà si accompagnava quello per l’uguaglianza, la giustizia sociale, la solidarietà. E caratterizzata anche dalla partecipazione e dal pluralismo.

Diede il suo personale contributo perché questi principi si traducessero nella carta costituzionale.
Ma, come presidente del consiglio, non solo non interferì mai nell’attività della Costituente, ma tenne sempre ben distinta l’opera dell’esecutivo da quella dell’elaborazione delle norme costituzionali e tantomeno condizionò le sorti del governo alla dialettica, all’andamento dei fatti in sede di Costituente. Finalizzò invece l’impegno dell’esecutivo ai problemi di competenza del medesimo, relativi alla ricostruzione (materiale, ma anche morale) e allo sviluppo del paese, iniziando da una situazione drammatica ereditata dal fascismo e dalla guerra e riuscendo a ottenere negli anni dei suoi governi risultati di grande rilevanza, come testimoniano anche i riconoscimenti internazionali.
Dedicò la più grande attenzione al tema del lavoro, dell’occupazione, in piena sintonia del resto col testo dell’articolo 1 della Costituzione, tutt’ora vigente e la cui attuazione costituisce un’esigenza prioritaria. E lo statista trentino condusse l’azione dell’esecutivo non ai fini di una mera riproposizione della situazione dell’anteguerra, ma strettamente connessa con riforme funzionali alla modernizzazione e alla solidarietà, che favorirono un importante sviluppo del mondo operaio e del ceto medio, e una alleanza tra i medesimi.

Gli importanti frutti di questo impegno De Gasperi li ottenne particolarmente perché operò secondo una logica determinata non da preoccupazioni elettoralistiche e del giorno per giorno, ma sulla base di una progettualità di ampio respiro, sempre mirando agli interessi generali del paese e, in specie, a quelli delle nuove generazioni, anche a costo di sacrificare interessi politici suoi personali e quelli del suo partito.
Quanto a questo si preoccupava che perseguisse il consenso, ma in termini coerenti, mai al prezzo di annebbiare le sue connotazioni ideali e programmatiche, di renderle ambigue, ondivaghe, alla ricerca di consensi comunque, alla ricerca della costruzione del partito della nazione.
Una riprova di questa linea coerente la diede anche in occasione di elezioni amministrative, quando si oppose, anche in difformità ad autorevoli sollecitazioni, alla presentazione, per le elezioni comunali di Roma, di una lista senza caratterizzazioni ideali e senza confini politici.
De Gasperi perseguì questa linea trasparente non solo a garanzia della qualificazione ideale e programmatica del partito di appartenenza, ma anche a garanzia di un effettivo pluralismo delle forze politiche. Agli appartenenti al suo partito diceva: «Voi costituite bensì un partito, cioè una parte della nazione, ma questa parte non è accampata nella nazione per dominarla o per dividerla, ma è collocata in mezzo ad essa per servirla».

No quindi a un partito ispirato a un concetto di dominio della nazione, ma al tempo stesso no anche a un partito portatore di elementi di divisione della nazione medesima, di una concezione della dialettica politica come scontro, tanto più se di carattere personale.
Lo statista trentino sosteneva invece una dialettica caratterizzata dal confronto, sulle idee, sul merito dei problemi, sia per quanto concerne il proprio partito (in cui gli oppositori di minoranza non erano considerati “ribelli” per le loro idee) sia in relazione ai rapporti tra le diverse forze politiche. De Gasperi fu per una politica inclusiva di tutte le forze politiche in parlamento, così anche rafforzandolo.
Testimoniò con i fatti come sia assolutamente conciliabile la governabilità con il ruolo fondamentale del parlamento. De Gasperi dimostrò che con questa collaborazione il suo governo efficiente, il suo buon governo, era finalizzato al perseguimento delle piene libertà individuali, civili, sociali dei cittadini, di tutti i cittadini.

Il segretario generale della Cei mons. Galantino, ricordando De Gasperi sul Corriere della Sera del 17 agosto, ha affermato tra l’altro: «De Gasperi fu segretario di partito e poi presidente del consiglio per otto anni ma tutte le scelte fondamentali della sua politica interna ed internazionale sono state elaborate dai partiti all’interno del parlamento, nel rispetto più assoluto delle regole e con un faticoso quanto meticoloso lavoro politico svolto in profondità... mai De Gasperi ha ceduto alla tentazione di coartare il parlamento che era la sede in cui egli pretendeva il rispetto e in cui poteva riconoscere alle opposizioni il ruolo che meritavano. De Gasperi è un modello. Una politica senza memoria che pretenda di ricominciare da zero non ha futuro».

Naturalmente riforme anche di valenza costituzionale (condotte in termini coordinati e di necessari equilibri), nell’attuale fase caratterizzata da rilevanti mutamenti, potrebbero assumere una notevole importanza, se fatte per progredire.
Ma lo sarebbe una messa in discussione formalmente o surrettiziamente della democrazia parlamentare per sostituirla con un assetto fondato su un premier?
E ancora: il 44 per cento dei nostri giovani che non hanno possibilità di esercitare il diritto al lavoro potrebbero essere privati anche della possibilità di una scelta piena e diretta degli eletti in parlamento trovandosi di fronte a un numero consistente di nominati?
E più in generale, una situazione di così forte calo della fiducia nella politica, particolarmente evidenziata dal fenomeno delle ingenti astensioni in sede elettorale, può essere affrontata depotenziando il ruolo dei cittadini nel fondamentale diritto al voto?
I nominati, i cooptati non rientravano certo nella logica di De Gasperi, contrastando anche con il criterio della meritocrazia. E De Gasperi, pur essendo figura di così grande levatura italiana e europea, era ben lontano dal concetto di un uomo solo al comando per l’Italia e di un uomo (o di una donna) solo al comando per l’Europa.

L'Europa: traguardo profetico da non smarrire

De Gasperi guardava avanti in termini temporali, ma anche in termini geopolitici. Fu uno dei padri fondatori dell’Europa.
Superando per determinati aspetti il gradualismo, aveva anche persuaso, con l’apporto di Spinelli, i partner europei a inserire il progetto originario della Ced (Comunità europea della difesa) in un più ampio progetto di comunità politica europea, Cep.
Argomentò che sarebbe stato inaccettabile costituire un esercito europeo senza contemporaneamente realizzare istituzioni democratiche sovranazionali, funzionali all’integrazione delle politiche estere ed economiche degli stati membri. De Gasperi ottenne anche l’elaborazione dello statuto della Cep. Il progetto non giunse a termine perché legato alla Ced, bocciata solo per pochi voti dal parlamento francese, con conseguenze pesanti per il corso delle vicende europee.

Lo statista trentino condusse il suo impegno per un’Europa con caratteri federali e solidali ai fini di costruire una realtà di pace e sviluppo al proprio interno e di svolgere un ruolo positivo per sé medesima e per gli interessi generali nell’ambito globale
Per tali obiettivi evidenziava la necessità di adeguate istituzioni democratiche sovranazionali europee, con relative cessioni di sovranità da parte degli stati membri.
Queste erano necessarie ai fini della solidarietà, di poter svolgere, con l’unione delle forze, un incisivo ruolo in una realtà mondiale economica (e quindi dell’occupazione) e politica in profonda trasformazione e in alternativa a trasferimenti di fatto di sovranità a grandi gruppi finanziari multinazionali e a stati più forti con relativa assunzione di egemonia da parte dei medesimi.

Non aver proceduto adeguatamente nelle istituzioni europee sovranazionali come sollecitato da De Gasperi ha comportato, nell’attuale fase, preoccupanti conseguenze: modestia e in alcuni casi assenza di ruolo all’esterno dell’Ue e, all’interno, risultati in larga parte deludenti ed egemonie che non hanno certo favorito la solidarietà.

Sono i fatti che dimostrano, tanto più in questa difficile situazione, l’attualità della strategia degasperiana.
Problemi come quelli delle crisi economiche (con conseguenze molto pesanti per l’occupazione), del ruolo assunto dalla finanza internazionale, dell’affermazione di nuove realtà terroristiche, dei cambiamenti climatici, di nuovi focolai di conflitti, dei migranti (la più grave emergenza dal dopoguerra per la quale, in particolare, si attendono urgenti atti innovativi), non possono essere affrontati dai singoli stati europei in ordine sparso.
Le esigenze espresse dai fatti spingono a mettere assieme le forze, all’integrazione, all’assetto federale. Ma molti politici e burocrati in Europa non hanno saputo o voluto procedere in tale direzione. L’affermazione della responsabilità non è stata accompagnata da quella della solidarietà e l’esigenza del rigore da quella dello sviluppo. E così i problemi rimangono in larga misura irrisolti e nell’opinione pubblica si allarga la sfiducia nell’Europa.
Nonostante questo, non pochi responsabili politici continuano a non correggere il tiro, a non operare per un di più di Europa in termini di integrazione economica e politica che fornisca alla medesima capacità di dare risposte ai problemi, lasciando così anche montare e a volte pure cavalcando un populismo antieuropeo. Ecco dunque creato un circolo vizioso...

La situazione presenta aspetti di notevole gravità anche dopo l’intesa con la Grecia.
In un’intervista su Repubblica del 22 luglio scorso, il presidente della Commissione europea Juncker afferma tra l’altro: «Abbiamo evitato il peggio e lo abbiamo evitato non perché siamo stati particolarmente saggi, ma perché avevamo paura. È la paura che ha permesso l’accordo».

De Gasperi, Kohl, Schumann, Spinelli avviarono l’integrazione in Europa con i valori della speranza, del coraggio, della solidarietà. Oggi la paura sembra aver preso un certo spazio.
Ma se l’Europa vuole sopravvivere e vivere per svolgere il ruolo positivo che le sue potenzialità le attribuiscono non può camminare sull’orlo di un burrone avendo come filo conduttore la paura. In una situazione come questa una svolta radicale non costituisce un optional, ma una necessità inderogabile.
È necessario quindi andare molto al di là delle trattative per la flessibilità relativa a singoli paesi. Occorre una decisa inversione di rotta sul piano generale. È necessario lavorare decisamente per una nuova governance.
Qualche settimana fa Jaques Delors, già presidente della Commissione europea, ha affermato su Le Journal du dimanche che il sistema attuale dell’eurozona «non è più governabile. Così come è non può durare. Occorre rifondare l’Unione economica e monetaria».

Non si tratta di decisioni tecniche ma che chiamano in causa e in termini pieni la politica e le sue responsabilità.
In questi giorni un leader europeo autorevole ha avanzato la proposta della costruzione di un governo economico dell’eurozona. È necessario immediatamente prenderla in considerazione con adeguati approfondimenti per valutarla negli aspetti indubbiamente positivi e nei suoi eventuali rischi. Perché un possibile importante passo in avanti non si traduca invece in un arretramento. Infatti da parte di un altro leader europeo è stata avanzata l’ipotesi che un incarico a questi fini venga assegnato a un ministro europeo delle finanze, scelto dai ministri finanziari dei governi nazionali e da questi controllato.
Ma ciò sarebbe in una logica intergovernativa, in una strategia che Jurgen Habermas definirebbe di “federalismo esecutivo” che penalizzerebbe la stessa Commissione europea (istituzione sovranazionale) sottraendole competenze: con un ulteriore potenziamento dell’egemonia degli stati più forti, come dimostrano i fatti. Ma questa logica sarebbe contraria a quella invece necessaria e cioè un deciso potenziamento delle istituzioni europee sovranazionali democraticamente rappresentative e responsabili e specialmente del parlamento europeo, per un’Europa dei cittadini, per superare gli egoismi, i nazionalismi, le spinte alle rinazionalizzazioni, al razzismo, per abbattere e non costruire muri interni ed esterni, per una comune azione di sviluppo, particolarmente in ordine al problema dell’occupazione.

Sarebbe importante che l’Italia procedesse tempestivamente e operativamente sulla base delle linee tracciate a suo tempo da De Gasperi, che appunto sottolineava la necessità di fondamentali istituzioni europee sovranazionali, del mettere adeguatamente insieme risorse economiche, ma prima ancora risorse umane, per svolgere l’azione comune europea.
Di ritorno da un incontro a Parigi affermò: «Ho parlato da europeo sì. Ma parlando da europeo chi può credere che io non avessi in mente l’Italia? Ho parlato da europeo ma per servire anche il popolo italiano, il suo sviluppo, la missione della nazione, soprattutto guardando alle generazioni che vengono, alla nostra gioventù e all’avvenire del nostro paese». E si spese negli ultimi giorni della sua vita per trasmettere pressanti sollecitazioni a personaggi politici (come Fanfani e Rumor) ai fini del perseguimento di un forte impegno per l’unità europea.

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