Testamento biologico, morte non sempre nemica dellʼuomo

Per unʼeducazione del cuore Dal pensiero del teologo cattolico Hans Kung, autore del libro Morire felici? che s΄interroga sulle questioni del fine-vita

Testamento biologico, morte non sempre nemica dellʼuomo

Il 14 dicembre scorso in Italia è stata approvata in via definitiva la legge sul testamento biologico. È stato detto da parte di alcuni esponenti del mondo cattolico, che questa sarebbe «una legge infame, che maschera l’eutanasia», cosa che non corrisponde a verità.

Riporto le riflessioni, scritte già nel 2015, da un teologo alquanto dibattuto nel panorama cattolico, intelligente, non sempre condivisibile, ma sempre profondo nel cercare di coniugare fede e ragione. Hans Kung – oramai 90enne, malato di Parkinson – nel libro Morire felici? edito da Rizzoli, ancora una volta smuove le acque di un grande dibattito contemporaneo legato all’accompagnamento dei malati inguaribili che desiderano essere aiutati a morire.

Per la prima volta un teologo cattolico si esprime apertamente a favore di ciò, cominciando col precisare che la parola “eutanasia” è del tutto inadeguata a render ragione di un vissuto così importante per la persona, quale quello del congedo dalla vita nel tempo. Meglio parlare di “autodeterminazione” o di “ausilio compassionevole a morire”. Egli sostiene che morire dignitosamente sia un diritto inalienabile. Dal diritto alla vita non deriva in nessun caso il dovere della vita, o il dovere di continuare a vivere in ogni circostanza.

L’aiuto a morire va inteso come estremo aiuto a vivere. Dio ha donato all’uomo la vita perché ne faccia un uso responsabile e, in determinate e particolari circostanze, restituirgliela è un atto di responsabilità. Egli può affermare questo proprio da credente: «Sono del parere che la vita terrena non sia tutto. Ciò si deve alla convinzione di fede secondo cui non mi dissolverò nel nulla. Capisco le persone che, non credendo nella vita eterna, hanno paura del non-essere. Io, invece, sono persuaso che non svanirò nel nulla, bensì entrerò in una realtà ultima. Per così dire, andrò verso l’interno, nella realtà più profonda in termini relativi e assoluti, e lì troverò nuova vita. È questa mia convinzione di fede, che naturalmente mi permette di essere un tantino più disinvolto riguardo alla lunghezza di questa vita e alla sua sopportazione.

Secondo alcuni medici con cui ho parlato negli ultimi tempi, a volte è sorprendente come le persone vogliano a tutti i costi vivere più a lungo, persino i teologi...». Kung auspica una chiesa che sia lungimirante, capace di aiutare a morire bene una persona, anziché «limitarsi a dare l’estrema unzione».

Kung non sta assolutamente promuovendo il suicidio, e chi leggerà il testo avrà modo di rendersene ben conto. Egli insiste molto sulla dignità del morire e la sua è una delle pochissime prese di posizione delle teologia cattolica a favore del diritto di autodeterminazione nell’ultimo periodo della vita. È davvero una via di mezzo tra posizioni estreme: infatti egli vincola l’ammissibilità di tale scelta a condizioni rigorose. Alcuni teologi – prosegue l’autore – sostengono che ogni essere umano debba resistere sino alla fine stabilita e che non può restituire la vita prematuramente.

Ma il buon Dio ha forse “deciso” la riduzione della vita umana alla mera dimensione biologico-vegetativa, con tanto di incontinenza, catetere, sonda gastrica e ferite suppuranti?

Oggigiorno, molti si chiedono perché la restituzione responsabile di una vita distrutta definitivamente da sofferenze insopportabili debba esser per forza considerata prematura. Non sempre la morte è nemica dell’essere umano (sant'Ambrogio ha scritto, nel suo De bono mortis, proprio questo). È chiaro, tuttavia, che non può esistere una soluzione generale valida per tutti.

Il messaggio di papa Francesco in occasione del meeting europeo della World medical association sulle questioni del fine-vita mi pare indichi una direzione di apertura perché anche la chiesa ripensi la dignità dell’essere umano, evitando i due estremi (eutanasia e accanimento terapeutico) e orientandosi di volta in volta, a una terapia proporzionata nell’accompagnamento al morente, che tuteli la persona sofferente.

Monica Cornali

È psicologa e poetessa cristiana, collaboratrice di Radio Oreb e della casa di esercizi spirituali Villa San Carlo di Vicenza.

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