Reclusi in casa, i 50 mila giovani che l'Italia non "vede" più

Hanno scelto le mura domestiche come protezione dal mondo esterno. Sono eremiti moderni, soprattutto adolescenti, che scelgono la reclusione volontaria come forma di protesto contro una società frenetica. Il fenomeno degli hikikomori nasce in Giappone e si sta diffondendo anche in Italia. Leopoldo Grosso del gruppo Abele: «Soffrono la pressione sociale troppo alta e le aspettative dei genitori». Ma proprio i genitori possono "riattivare" un contatto...

Reclusi in casa, i 50 mila giovani che l'Italia non "vede" più

Una forma di disagio soprattutto adolescenziale, eremiti moderni che decidono consapevolmente e volontariamente di ritirarsi dal mondo e di rinchiudersi nella propria camera da letto per mesi, poi per interi anni.
Sono gli hikikomori, termine giapponese con cui si indicano quei ragazzi o giovani adulti che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale al confine con la società.

Un’esistenza in disparte, un malessere culturale nato in Giappone e poi diramatosi in diversi paesi compresa l’Italia, dove però manca un quadro esaustivo
L’istituto di analisi Minotauro, per esempio, parla di 30-50mila giovani, soprattutto al Nord, ma sulle cause c’è ancora molta incertezza.

«Chi sceglie protezione tra le mura domestiche non si sente accettato dai pari, può essere vittima di bullismo o preso di mira dai suoi coetanei – spiega Leopoldo Grosso, psicologo e psicoterapeuta, vicepresidente del Gruppo Abele – In molti di loro c’è anche delusione e disillusione rispetto alle aspettative di realizzazione perché, terminati gli studi, non ci sono prospettive di lavoro, una proiezione futura confortevole e si vedono come un fallimento sociale. Oggigiorno nel mondo lavorativo si sono alzate le asticelle della competizione, ci sono più pressioni esterne anche da parte dei genitori che investono sui figli, con punte di narcisismo, obbligandoli a diventare ciò che loro non sono stati in grado di realizzare».

Quello degli hikikomori è un grido di protesta contro una società frenetica e asfissiante che non dà la possibilità di sbagliare e, se il nucleo familiare può essere causa di un facile rifugio perché soffoca gli stimoli all’autonomia, è proprio attraverso i genitori che gli isolati volontari possono avviare un percorso di reinserimento: «Quando un ragazzo è ritirato in casa, va stanato attraverso la madre o il padre perché loro possono essere i primi a capire e creare spirargli per un dialogo – prosegue Leopoldo Grosso – Parlare attraverso una porta, chiacchierare sui possibili interessi che magari hanno sviluppato in rete: così si apre un lento cammino di socializzazione e di riabilitazione».

A Milano, dal 2012, un centro ha avviato differenti terapie per aiutare gli hikikomori a uscire dal guscio
Vengono accompagnati a scuola evitando il rischio di essere esposti allo sguardo degli altri sul pullman, fanno attività o giochi assieme così da aumentare l’autostima, fino a intervenire a domicilio per essere più a contatto con l’individuo e portarlo gradualmente verso l’esterno.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: leopoldo grosso (1), gruppo abele (2), Hikikomori (2), don ciotti (6)