XXX Domenica del tempo ordinario *Domenica 26 ottobre 2014

Matteo 22, 34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i profeti».

Ti amo, Signore, mia forza

L’incipit del salmo 17 non canta un qualsiasi amore: il verbo impiegato, ti amo, «evoca le viscere d’un amore materno indistruttibile e appunto viscerale. È questo l’unico caso in cui il verbo è costruito con Dio come oggetto e non come soggetto, perché nella bibbia è sempre primario l’amore di Dio verso la sua creatura» (Gianfranco Ravasi, I Salmi, p. 331). In ebraico, da questo verbo deriva al plurale il termine “viscere”, così spesso nei salmi luogo della misericordia intensa che muove all’azione. E sempre dallo stesso verbo nasce il sostantivo che indica l’utero, lo spazio vuoto che accoglie la perenne novità della vita. Dio è quindi un Padre che ama con viscere di madre; Dio è un Padre che ama di misericordia, che si commuove visceralmente, per così dire; Dio è un Padre che per amore e nell’amore genera sempre. E ogni nostro timido moto d’amore sarà sempre risposta all’amore ricevuto; sarà sempre secondo rispetto al primato assoluto del dono. Non ami compiutamente se non sperimenti di essere incondizionatamente amato. Puoi amare perché prima sei stato amato, al di là di ogni merito.

Amare: un comandamento?

L’amore è il grande comandamento perché è nell’ordine della necessità per una vita piena e compiuta, come il respirare e il battere del cuore lo sono per il vivere fisico. L’amore è il grande comandamento perché è un mistero che oltrepassa – sempre e comunque – ogni sforzo. Anche se non fossimo stati desiderati fin dal concepimento, se siamo vivi è perché una moltitudine di persone ci ha voluto del bene. «Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell’amore di Dio con quello dell’amore del prossimo, contenuto nel libro del Levitico: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (19, 18; cfr Mc 12,29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro» (Benedetto XVI, Deus caritas est, n° 1).

Il chiodo

«Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti»: come una porta si apre ruotando su due cardini, così il mistero di Dio si schiude nella sua luminosa bellezza per chi ama Dio con tutto il proprio essere e il prossimo come se stesso. In greco il verbo “dipendere” è il termine che descrive il chiodo a cui saldamente appendere qualcosa, i cardini che fanno girare una porta. Non c’è regola, norma e prescrizione che stia in piedi, che regga per il benessere dell’uomo senza l’amore totale a Dio che è amore. «Il secondo, poi, è simile...» dove l’aggettivo indica una somiglianza che sfiora l’uguaglianza, tanto è vero che nel greco classico il termine si può tradurre «di ugual valore, dello stesso rango». Direi che il retto e vero amore al prossimo (ben più della semplice filantropia) non è inferiore all’amore per Dio, un Dio che per la sua creatura ha dato il suo stesso Figlio. Quel prossimo da amare vale, infatti, il sangue di Cristo, vale la passione e morte del Figlio di Dio!

Interamente

«Non... non... se... se... se...»: questo il tono del Primo Testamento, come echeggiato dal libro dell’Esodo. Era la pedagogia necessaria. Gesù però punta dritto al cuore della questione: c’è un sì pieno e totale da dire e vivere. Tutta la legge consiste nell’amare con l’intero cuore, con l’intera anima, con l’intera mente Dio, Dio che è tutto e in cui tutto sussiste. Questa chiamata di interezza è così salutare in questo tempo, in cui l’amare a volte si ferma al sentire, al brivido delle emozioni. Amare è chiamata a raccolta di tutte le facoltà della persona, è esperienza che unifica il sentire, il pensare, il volere. Non sono mai così pienamente me stesso se non quando vivo l’esodo dalla parte più superficiale e gretta di me per incontrare l’altro e l’Altro. E così potrò ritrovare il volto bello della mia persona: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).

Lo starets Zosima

Ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij un monaco e padre spirituale, Zosima, così “traduce” il comandamento dell’amore. «Fratelli, non temete il peccato degli uomini, amate l’uomo anche nel suo peccato, perché questa immagine dell’amore di Dio è anche il culmine dell’amore sopra la terra. Amate tutta la creazione divina, nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. Amate ogni fogliuzza, ogni raggio di sole! Amate gli animali, amate le piante, amate ogni cosa! Se amerai tutte le cose, coglierai in esse il mistero di Dio. Coltolo una volta, comincerai a conoscerlo senza posa ogni giorno di più e più profondamente. E finirai per amare tutto il mondo di un amore ormai totale e universale. Amate le bestie: Iddio ha dato loro il principio del pensiero e la gioia pacifica. Non tormentatele, non turbatele, non togliete loro la gioia, non opponetevi all’intento di Dio. Amate particolarmente i bambini, perché anch’essi sono senza peccato, come gli angeli, e vivono per la nostra tenerezza, per la purificazione dei nostri cuori, e sono per noi come un’indicazione. Guai a chi offende i pargoli! (…). Certi pensieri, specialmente alla vista del peccato umano, ti rendono perplesso, e tu ti domandi: Devo ricorrere alla forza o all’umile amore? Decidi sempre: ricorrerò all’umile amore. Se prenderai una volta per tutte questa decisione, potrai soggiogare il mondo intero. L’amore umile è una forza formidabile, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra».

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