Il Papa in Myanmar, un viaggio tra geopolitica e dialogo interreligioso

Quando papa Francesco toccherà il suolo del Mynamar, alle 13.30 di lunedì 27 novembre, il momento sarà storico. Da qualunque parte lo si analizzi, il viaggio apostolico numero 23 (fuori dai confini italiani) di papa Bergoglio si annuncia quantomai impegnativo, anche per le implicazioni politiche.

Il Papa in Myanmar, un viaggio tra geopolitica e dialogo interreligioso

Quando papa Francesco toccherà il suolo del Mynamar, alle 13.30 di lunedì 27 novembre, il momento sarà storico.
Fino a oggi infatti mai nessun pontefice aveva messo piede nella ex Birmania, che dallo scorso anno sta attraversando una controversa fase di normalizzazione, dopo 50 anni di ferreo controllo militare. La piccola minoranza cattolica del vicino Bangladesh, che accoglierà il papa nei giorni immediatamente successivi (fino a sabato 2 dicembre), ricorda invece la visita di san Giovanni Paolo II, datata 19 novembre 1986, quando il papa polacco ordinò 19 sacerdoti, e prima ancora quella di Paolo VI nel 1970.

Da qualunque parte lo si analizzi, il viaggio apostolico numero 23 (fuori dai confini italiani) di papa Bergoglio si annuncia impegnativo.
Lo testimoniano le tre “richieste” che il card. Charles Maung Bo, arcivescovo metropolita di Yangon in Italia in questi giorni per partecipare alla plenaria del Pontificio consiglio della cultura, ha rivolto a Francesco.

Anzitutto, la replica di un pressante invito già manifestato negli scorsi mesi dal clero birmano: non pronunciare il termine “Rohingya”.
La delicatissima vicenda di questa minoranza musulmana pesantemente discriminata in Myanmar, privata di riconoscimenti e documenti e costretta a emigrare proprio in Bangladesh, aveva già trovato l’attenzione del papa in almeno due Angelus domenicali. Il problema – ha spiegato il card. Bo ad Aci stampa – è che «gli estremisti stanno cercando di mobilitare la popolazione» attorno a questo termine, e questo può provocare un «conflitto interreligioso». Ma ci sono «tanti musulmani che vivono pacificamente tra la popolazione birmana». Meglio allora parlare dei “musulmani del territorio di Rakhine”, come ha fatto la commissione speciale presieduta dall’ex segretario Onu Kofi Annan.

Le altre due richieste del cardinale riguardano due incontri che non compaiono nel programma ufficiale: il primo con il generale Min Aung Hlain, capo dell’esercito, e uno con i rappresentanti del tavolo interreligioso.

La Santa Sede è al lavoro da settimane per mantenere il viaggio entro i confini della correttezza istituzionale

Per questo i destinatari principali, almeno per la prima parte del viaggio, saranno i 500 mila cattolici del paese. «Ma l’attesa per l’arrivo del papa cresce tra tutti i cristiani – spiega direttamente da Yangon don Raimondo Sinibaldi, direttore dell’ufficio pellegrinaggi della diocesi di Vicenza – Non solo, i giovani, anche tra i buddisti, si dimostrano molto interessati al cristianesimo e all’autorità morale di livello planetario che il papa rappresenta. Sperano che l’incontro con “la signora”, Auung San Suu Kyi, porti a una ulteriore riduzione della stretta militare sul paese».

Il Myanmar è una culla di spiritualità, intrisa di buddismo teravada. «Il radicamento è fortissimo – spiega don Sinibaldi – A Bagan c’è una distesa impressionante di 2.200 templi sorti uno accanto all’altro più di mille anni fa. Yangon, la capitale coloniale, ospita tre ettari di templi». Per questo sarà molto significativo l’incontro che il papa avrà con il consiglio supremo Sangha dei monaci buddisti, in programma mercoledì 29 al Kaba Aye centre.

Il Bangladesh, terzo paese musulmano più popoloso al mondo, è invece uno dei punti nevralgici più sensibili per la dinamica geopolitica mondiale.
Eppure è salito agli onori delle cronache di casa nostra per gli attentati terroristici di matrice islamista, specie quello del luglio 2016 a Dakha, nel quale hanno perso la vita nove italiani. Anche qui a rappresentare la chiesa c’è un cardinale creato a sorpresa da Francesco, l’uomo “di periferia” Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka. «Papa Francesco viene a visitare una chiesa povera, dei poveri e per i poveri», ha spiegato nei giorni scorsi.

Con 170 milioni di abitanti in soli 144 mila chilometri quadrati di territorio, il Bangladesh è una delle nazioni più densamente popolate del pianeta. Il papa della Laudato si’, come scrive Gerolamo Fazzini su Jesus, non rimarrà indifferente alle istanze dei 12 milioni di bengalesi che vivono nelle zone costiere, particolarmente vulnerabili a causa dei cambiamenti climatici.

 Alla sua indipendenza dal Pakistan, nel 1971, ha contribuito anche padre Marino Rigon, saveriano, recentemente scomparso nella sua Villaverla.

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